A poche ore dall’ufficializzazione della sua candidatura a sindaco di Napoli per il centrodestra, CulturaIdentità ha realizzato questa intervista con Catello Maresca, il pm anticamorra – ora in aspettativa – celebre per avere catturato il boss dei Casalesi Michele Zagaria. Ecco cosa ci ha detto.
Cosa si prova quotidianamente a combattere per la giustizia in Italia? Molti ritengono sia la parte della barricata più impopolare…
Io trovo che sia invece la parte più popolare di ogni battaglia di civiltà. Combattere per la giustizia in un Paese democratico significa quotidianamente preservare una civile convivenza, che è alla base di ogni democrazia. Noi abbiamo una Costituzione per la quale migliaia di giovani italiani diedero la vita perchè in Italia la libertà e la giustizia potessero essere fari della nostra democrazia. Nel nostro Paese chi combatte ogni giorno per la giustizia – non solo i magistrati ma chiunque – rende credibile lo Stato anche rispetto alle omertà mafiose che lo infestano. Solo dove c’è giustizia l’omertà mafiosa scompare. Quello che nel nostro Paese non abbiamo ancora capito è il fatto che pretendere giustizia, promuovere giustizia e fare giustizia sono questioni che riguardano solo i magistrati. Non è così. Troppi magistrati in questo Paese parlano spesso del dottor Giovanni Falcone, martire della mafia, senza però avere mai osservato anche una sola delle tante sue idee per combattere la mafia assieme alla politica, non contro la politica. Falcone diceva sempre “bisogna stare attenti a non confondere la politica con la giustizia penale, perché in questo modo, l’Italia, culla del diritto, rischia di diventarne la tomba”.
La sua carriera da magistrato ha comportato che lei dovesse vivere sotto scorta. Cosa la spinge, ancora oggi, a resistere dinanzi alla convivenza forzata con il rischio?
I ragazzi della scorta sono eccellenti professionisti, persone a me molto care, sono cresciuti assieme a me, sono con me anche da dodici anni, fanno parte della mia famiglia si può dire. Assicurano la mia libertà, tutelano la mia persona e lo fanno a prezzo di sacrifici enormi. Verso di loro, che rappresentano lo Stato, ho sentimenti di gratitudine. Non la vivo come una convivenza forzata ma come uno sforzo necessario che occorre affrontare con orgoglio, a testa alta e con la forza della giustizia le sfide che la criminalità organizzata ci pone ogni giorno. Lo Stato questa guerra non può perderla e deve cominciare a pensare di doverla vincere definitivamente.
Il suo apice di successo lavorativo, ad oggi, è considerato da tutti quello di essere riuscito a consegnare alla giustizia il boss Michele Zagaria. All’epoca ha avuto paura di non riuscire a portare a termine quella sfida?
La vittoria militare dello Stato contro la cosca dei Casalesi porta non solo la mia firma ma anche il sacrificio e la dedizione di tanti uomini e donne della magistratura e delle forze di polizia che hanno speso anche una vita intera per eradicare una organizzazione mafiosa che era entrata nel tessuto connettivo della società, aveva inquinato istituzioni ed economia legale. Aver sconfitto militarmente questa organizzazione mafiosa con l’arresto dei capi della cosca e degli affiliati, avere sequestrato e poi confiscato patrimoni ingenti che avevano accumulato col crimine non significa che lo Stato ha vinto contro i Casalesi. Lo Stato non ha ancora inferto il colpo mortale a nessuna delle organizzazioni mafiose presenti sul nostro territorio nazionale. Il colpo definitivo è la sconfitta della mentalità mafiosa che permea una certa parte della nostra società. Arrestare Zagaria non era facile, ma l’abbiamo arrestato. E sa perché? Perché quando lo Stato decide di scenderei n campo, è sempre più forte della mafia. Occorrono sinergie, sforzi e intelligenze. La cattura di Zagaria, da quando mi è stato chiesto di arrestarlo, era solo una questione di tempo. La questione non era se ma quando lo avremmo arrestato. Zagaria è stato un osso duro, ma l’abbiamo messo all’ergastolo ostativo dopo averlo tirato fuori dal suo nascondiglio. Ancora una volta un boss celebrato nascosto in un buco sottoterra. Mi chiedo sempre: ma che vita fanno!
Negli anni scorsi lei ha pubblicato un libro dal titolo provocatorio: “La mafia è buona”. All’interno narra il mondo dorato celato dietro il business della criminalità organizzata, operatrice spesso anche all’estero. Si riuscirà mai a scardinare completamente quel mondo?
Quel libro l’ho scritto assieme al giornalista Paolo Chiariello. Partivamo da una preoccupazione comune che è ancora attualissima: la parola mafia è sparita da inizio secolo dal dibattito pubblico in questo Paese. C’è un abbandono di qualunque discussione intorno alle mafie. Lei mi chiede se riusciremo mai a scardinare questo mondo mafioso? Non voglio deludere nessuno, ma credo non basti una eccellente magistratura antimafia, o un’efficiente e moderna legislazione antimafia. E credo non siano sufficienti le sole forze di polizia, che pure fanno un lavoro davvero encomiabile. Non credo la repressione sia l’unica arma per vincere. La mafia è un cancro e lo Stato per vincere deve essere un eccellente medico e chirurgo. Occorre intervenire col bisturi per rimuovere il cancro. Dopo l’operazione chirurgica occorrono cure mirate per la riabilitazione del paziente e il ritorno alla normalità. Provo a essere più chiaro: serve a poco che Maresca o chicchessia e decine di carabinieri, poliziotti e finanzieri arrestano Michele Zagaria se poi lo Stato non rimuove le cause sociali ed economiche che consentivano a Zagaria di fare il camorrista in un pezzo d’Italia. Dopo la repressione lo Stato deve andare in quei posti a portare lavoro, occasioni di riscatto, ritorno alla normalità, legalità. Il pericolo maggiore, quello che io temo di più è l’assuefazione allo stato di fatto in cui si vive a Casal di Principe come a Brancaccio o Scampia o in qualunque altro quartiere o comune delle periferie metropolitane delle città dove lo Stato non c’è o se c’è si manifesta solo con la presenza muscolare delle forze di polizia. Che vanno bene, che fanno bene ma non basteranno mai.