L’estate e l’arte della manutenzione della bici

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Foto di Mabel Amber da Pixabay

Anzitutto in bicicletta bisogna saperci andare, perché? Perché non è un organo umano, è un’aggiunta, un presidio, un prolungamento del corpo, direbbe M.McLuhan. E poi esistono gli altri e, come disse Sartre, l’inferno sono gli altri. Ma andiamo per ordine, la “bici” è come la primavera, affascinante ma difficile da interpretare. Ci si è messi a parlare della bici da non molti anni, da quando la si usava, arrugginita, per andare ai campi, o al bar, o alla Messa. La pedalata era lenta, leggera, il tacco solo stava sul pedalino, le rezdore abbracciavano col culo da sposa il sellino morbido. La bici era l’animale più nobile della facile e fertile pianura padana, lì il tanto vento si faceva subito vivo e accompagnava, fischiava, brontolava. Poi il cambio di ritmo, di anima, l’invenzione della leggiadria, dei copertoncini sottili, del telaio da otto chili, e la voglia di pedalare insieme.

Sono degli Anni Ottanta le prime ciclabili, belle a Bolzano, Ravenna, Bologna, introvabili e impossibili a Firenze, ridotte a parcheggi facili. Ma anche il bello e il buono contagiano, e anche dall’estero si ritorna con l’esperienza di strade fiorite per soli ciclisti. Andare in bici non è facile, se si fora come si ritorna? Se non si cambiano i fili dei freni usurati, addio belle discese. Se si gira per Milano è uno stress l’attenzione ansiosa alle scanalature delle tramvie. Ma il vento seduce, non spinge, è lui che porta ovunque. Ci sono le buche di presa dell’aria, i cordoli dei marciapiedi, uffa, ma il vento seduce, non spinge, porta ovunque!

Rileggere Orio Vergani è sentirsi nell’epica, ascoltare GP Ormezzano è volere di nuovo un’epica. Ogni epica hai i suoi eroi vincitori e vinti, ma oggi l’epica è alla portata di tutti, è trasversale, causa la bici si sono fatti molto male Froome, DuMoulin, e tanti non eroi, schiacciati come i ricci per le strade, dove è rimasto un fiore legato a un albero e un biglietto “Non per sempre!”. La strada è diventata un’arena, i camion stringono verso la scolina le auto, le auto spingono le moto, le moto le bici, le bici spingono i pedoni. Ogni tanto una biscia c’ha provato a farsi sentire, è lì aperta, sanguinolenta, inutile. Sotto un cielo terso, suggestivo, caldo già a marzo, chi non progetta un’uscita in bici? Prima due km, poi tre, e poi ci si sente di affrontare il monte Baldo o gli Apppennini, eppure la catena della bici cigola, il freno è troppo lento, le gomme sono sgonfie, la bici non ha il colore del momento. I prof scalpitano in tv, affilati, splendidi, con chissà quali pozioni nascoste nella borraccia, il controllo dei watt sott’occhio, la grinta nascosta da occhialoni spaziali, tutto è così facile e divertente su una bicicletta. E poi se si pedala sull’Aurelia, in Val di Chiana, in Val Venosta, si entra in un mito, quello della libertà tanto sognata e coronata da un qualche bersò di gelsomini con trattoria.

L’estate è fuori della porta, dove ci si può dirigere assennatamente? Ad ascoltare dei consigli è sempre una noia, una mezza offesa, ma si risparmia tanto, anche in divertimento, eccone comunque alcuni. “assicurarsi che il cell sia carico e pagato e con i numeri necessari. Fare una corsa tecnica dal meccanico , non si sa mai. Controllare il casco e i cinghietti. I guanti servono molto in caso di caduta. Portarsi una giacchetta a vento e berretto, anche qui non si sa mai. Nello zainetto, cibi, veloci, sostanziosi, leggeri. E da ultimo: un giro da 5 km sono 10 km, c’è pure il ritorno!

Se si fa un po’ d’attenzione al prima volta, alla seconda cresce l’entusiasmo e si aprono terra e cielo. L’Italia è invidiabile, lo dicono i forestieri, che ci arrivano vestiti alla bell’e meglio ma con le carte di credito ampie, l’Italia varia ogni 100 metri, è una cornucopia di panorami, ha bello e brutto tempo, salite e discese, malinconie e risate, colazioni che non lasciano più ripartire, un’arte spaventosamente magnifica e diversa, una arguzia napoletana insieme a una meditazione piemontese, l’aria salsa e l’aria dei rododendri montani, non c’è che da scegliere e scegliere è perfino irritante per chi vuole tutto e subito.

La bici insegna a gustare, non a ingolfarsi. Quindi, dove? Se farà il caldo torrido dell’anno scorso, bisogna evitare certe zone in cui ristagna anche la polvere, quei poveracci stranieri che non s’erano informati e arrancano per il Chianti, credendo nelle collinette di Simone Martini e Cimabue proveranno cos’è deludersi. Coloro che amano i laghi avranno brutte sorprese, il traffico vi è assillante, odioso, pericoloso. Ma basta spostarsi poco poco, fuori Sirmione ci sono le dolcissime colline moreniche di Valeggio, paffute, adorne di acque fresche e di…tortellini. Circumnavigare il Garda è da mito, ma in autunno, così come il Como, ma i laghetti di Pusiano e Annone, sono una colazione sull’erba da acquerellare. Il lago d’Orta è un gioiello da regalare a chi è in grado di apprezzarlo, cioè per esteti raffinati semplici poeti. Per chi non se la sente o non può allenarsi restano le valli, a fianco dei fiumi, come da Empoli al Tirreno, dall’Isonzo al Carso, da Rimini a San Marino. Ma pure le biciclette devono rispettare le regole, con il rosso non si passa!E con una birra in più è difficile mantenersi lucidi.

Da ultimo, l’auricolare: tanto bello tanto pericoloso, inutile spiegare perché. Da ultimissimo: se si vuole poi ripassare con amici o famiglia nei bei posti trovati, bisogna lasciarli come li abbiamo visti e gustati. Il vento seduce, non spinge, è lui che porta ovunque. Buona estate, che prestissimo verrà!