Giacomo Matteotti fu anticomunista. Ma nessuno chiede abiure alla Schlein. Il doppiopesismo ideologico ieri durante la commemorazione del martire socialista ha toccato l’apice: “La Meloni dica che lui stava dalla parre giusta della storia”
La commemorazione del discorso che Giacomo Matteotti tenne il 30 maggio del 1924 e che ne determinò la sua condanna a morte è diventata l’ennesima occasione per fare l’esame di antifascismo a questo Governo e a Giorgia Meloni. Si è impalcato il congresso del Cln (consiglio Lisergico Neoresistente) e dell’Anpi (a noi piace insultare) di cui è esponente di spicco Vincenzo De Luca per dire che la Meloni rappresenta se non i fascisti quanto meno gli a-fascisti che perciò non passano il quiz per ottenere la patente di democrazia. Non è sufficiente che la commemorazione di Giacomo Matteotti sia stata fortemente voluta dal Presidente della Camera Lorenzo Fontana perché in quanto legista è percepito dal Cln come un attentatore all’unità nazionale con sfumature a-democratiche.
Nella liturgia laica per commemorare questa immensa figura di socialista (aggettivo ancora indigesto nelle file del Pd) la presidente del Consiglio era a fianco di Sergio Mattarella a significare l’unità del paese nei valori democratici. Eppure non basta perché la Meloni con l’annunciata riforma istituzionale che ha come approdo il premierato è in perenne odore di eresia autoritaria. Ieri nei talk show televisivi si sono sentite alcune aberrazioni con sprezzo del ridicolo e dell’ovvio: la Meloni dica che Giacomo Matteotti difensore delle istituzioni democratiche – stavano per dire nate dalla Resistenza, ma si sono accorti che non tornavano i tempi – era dalla parte giusta della storia. Sì, una volta tanto il Cln e l’Anpi hanno ragione: Giacomo Matteotti era dalla parte giusta della storia. Ma c’è bisogno di una spiegazione e non è detto che piaccia ai detentori della patente di democratici. È vero che Matteotti fu dal 1920 in poi acerrimo e illuminato avversario del fascismo e di Benito Mussolini, che poi rivendicò la responsabilità politica e morale dell’assassinio, difendendo i sicari in camicia nera.
Ma esiste anche un’altra parte della verità. Giacomo Matteotti, amico e quasi coetaneo di Alcide De Gasperi, fu come il grande trentino tanto antifascista quanto e forse ancora più visceralmente anticomunista. Tentò di arginare i fascisti proponendo un governo di coalizione con i popolari. Vi si opposero i socialisti duri e puri, i massimalisti che erano rimasti nostalgici del biennio rosso e di fatto contigui all’ortodossia marxista, spianando la strada a Mussolini. Giacomo Matteotti guidò al Congresso socialista di Roma del ’22 la scissione dei riformisti accusati di essere “servi dei borghesi”. Mancavano tre giorni alla marcia su Roma e Filippo Turati con i suoi fu espulso. Fondarono il Psu di cui Matteotti fu eletto segretario. L’anno prima a Livorno era nato il partito Comunista guidato dai socialisti rivoluzionari di stretta osservanza marxista-leninista e agli ordini di Lenin. Giacomo Matteotti fu il più forte oppositore della deriva comunista del socialismo italiano che voleva accompagnare sulla sponda socialdemocratica. Evocarlo però pone un problema in particolare ad Elly Schlein.
Se ci si sente autorizzati a chiedere a Giorgia Meloni nata nel 1977 di abiurare al fascismo (che peraltro lei ha già ampiamente condannato) e di dire che Giacomo Matteotti stava dalla parte giusta della Storia, la stessa domanda va posta al segretario del PD che ha voluto sulla tessera del suo partito il ritratto di Enrico Berlinguer: il segretario del più grande partito comunista d’Occidente. Berlinguer si è iscritto al Pci nel 43, 21 anni dopo l’espulsione di Giacomo Matteotti dal socialismo perché “servo dei borghesi”. Nel 1962 era responsabile esteri del Pci in continuo contatto con i vertici del Pcus, il partito comunista sovietico. Si può dunque chiedere a Elly Schlein di fare la stessa abiura verso il comunismo che viene chiesta alla Meloni verso il fascismo? Oggi Giorgia Meloni e il suo Governo sono accusati di volere stravolgere in senso autoritario la Costituzione. Il primo esito della riforma è stato il voto in Senato per l’abolizione dei senatori a vita. Presidente della Repubblica è stato Giorgio Napolitano – ha aperto la strada alla rielezione al Colle, possibilità non prevista esplicitamente in Costituzione – esponente comunista di primo piano. Napolitano, allora responsabile esteri del Pci, salutava nel 1956 i carri-armati sovietici che schiacciavano gli ungheresi, accusati di essere dei contro-rivoluzionari, “come portatori di pace”. Pietro Nenni ruppe allora definitivamente con i comunisti avviandosi con 34 anni di ritardo sulla strada di Matteotti. Palmiro Togliatti rispose con l’egemonia culturale e il bollo dell’infamia contro i socialisti. Enrico Berlinguer fu togliattianissimo e protagonista di quella stagione. Napolitano – già presidente della Repubblica – solo nel 2006 ammise che sull’Urss si era sbagliata. Eppure con un senatore a vita, Mario Monti, rovesciò senza passare dalle urne il consenso popolare allontanando Silvio Berlusconi da palazzo Chigi. Viene da domandarsi, mentre si celebra Giacomo Matteotti, un vero martire della democrazia, di una democrazia che allora non dava il voto alle donne, aveva ancora il Re con un Senato di nominati, se chiedere solo l’abiura del fascismo, peraltro morto sepolto e non resuscitabile, non sia tradire proprio il pensiero di Matteotti che lottò con eguale determinazione anche contro il comunismo. Con una sottile differenza: che il partito fascista in Italia non c’è, ma il partito comunista sì!
Per trarre lezioni dalla storia occorre conoscerla! Purtroppo il dibattito politico è in mano a chi parla per slogan, convinto che una falsità ripetuta diventi la verità per gli elettori. Il riferimento alla Schlein è chiaro.