Le menzogne che ci hanno detto per non farci votare

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Votare? Giammai! Puntuale, intenso, vibrante è stato il fuoco di sbarramento riversato  contro quanti, a seguito dell’inedita crisi di governo agostana, invocavano che venisse consegnata la parola ai cittadini. Militanti dei partiti coinvolti nell’inciucio, esperti ed opinionisti vari, grandi giornali, persino gente comune: in tanti, ovunque, hanno brandito nozioni di diritto costituzionale e di politica economica per dimostrare che nulla sarebbe stato più ingiusto e deleterio del voto. Chi chiedeva venisse garantito il maggior esercizio di democrazia è stato dipinto come un attentatore alla nostra Costituzione e alla forma di Repubblica parlamentare. Ma non solo. Ricorrere a nuove elezioni – ci hanno detto – avrebbe avuto anche effetti nefasti per le nostre finanze. È così? Cultura Identità lo ha chiesto a Paola Tommasi, economista di scuola bocconiana.

 

Se fossimo andati al voto, ci sarebbe stato il temuto aumento dell’Iva?

“No, il tema non si pone. Anche un governo in carica per gli affari correnti avrebbe potuto cancellare l’aumento dell’Iva con un decreto, tanto più considerando che tutti i gruppi in Parlamento sono concordi. Ma va ricordato che un intervento per sterilizzare l’aumento dell’Iva si può fare entro il 31 dicembre. E per quella data, in caso di elezione, credo che avremmo avuto un governo”.

 

Ma c’è pur sempre la legge finanziaria da dover scrivere. Se fossimo andati al voto non si sarebbe palesato lo spettro dell’esercizio provvisorio?

“Vale lo stesso ragionamento fatto sull’aumento dell’Iva. L’esercizio provvisorio scatta se non approvi la legge di bilancio entro il 31 dicembre. Ma dal voto – che verosimilmente sarebbe avvenuto ad ottobre – a quella data, i margini ci sarebbero stati”.

 

C’è però da inviare la nota d’aggiornamento al Def e la prima bozza della legge all’Europa…
“Ma la Commissione europea aveva già garantito che i termini di metà settembre per la nota d’aggiornamento al Def e di metà ottobre per la prima bozza della finanziaria non sarebbero stati perentori. La vera dead-line per evitare l’esercizio provvisorio resta l’approvazione entro il 31 dicembre”.

 

Con questa legge elettorale, tuttavia, c’era il rischio che due mesi non sarebbero bastati per formare il governo e fare la manovra…
“Secondo tutti i sondaggi era chiaro che sarebbe uscita una maggioranza con i numeri per governare. Nel 2018 il problema si è posto perché si sono alleate due forze con visioni di politica economica totalmente differenti, pertanto mettersi d’accordo è stato un processo lungo. Con una vittoria del centrodestra che sarebbe probabilmente uscita dalle urne, i tempi per la formazione del governo e per la messa a punto della legge di bilancio sarebbero stati molto più rapidi”.

 

C’è da dire che lo Spread è in ribasso. È la dimostrazione che i mercati stanno apprezzando la formazione di un governo Pd-M5s?

“È la dimostrazione che questo è un governo voluto dai poteri forti e non dal popolo italiano. Il governo che si sta formando, ad esempio sulle clausole di salvaguardia, userà lo stesso criterio utilizzato da tutti gli altri governi che lo hanno preceduto, cioè il deficit. Nel merito, non cambia. Il punto è che se fanno deficit i sovranisti, è un problema. Se lo fanno Pd e M5s, non lo è. In Europa ci sono due pesi e due misure. Chi non fa parte dell’establishment e non è manipolabile, non è gradito a Bruxelles”.

 

E tu che sei stata nel suo staff, come interpreti il tweet di sostegno di Trump a Conte?

“Dietro quel tweet c’è lo stesso ragionamento che fanno a Bruxelles: meglio un Conte facilmente manipolabile rispetto a un Salvini più riottoso. Poi c’è da dire che l’atteggiamento di Salvini non è stato sempre apprezzato negli Stati Uniti. Al di là delle sue frasi di circostanza, il governo di cui ha fatto parte è quello della Via della Seta. Nella battaglia di Trump contro l’imperialismo cinese, Salvini ha dimostrato a parole di sostenerlo ma senza dimostrarlo nei fatti”.

 

Che legge di bilancio dobbiamo aspettarci dal governo Pd-M5s?
“Un trionfo di tasse e di patrimoniali. Cioè un incubo per gli italiani e per l’economia perché così tolgono soldi dalle tasche dei cittadini e contraggono i consumi. La reazione positiva dei mercati è politica. La reale stabilità finanziaria l’avrebbe data un governo di ampio respiro, capace cioè di durare cinque anni, con una maggioranza di centrodestra coesa e intenta a fare riforme per le imprese, per il lavoro, per lo sviluppo. Questo sì che avrebbe spinto verso l’alto le aspettative degli investitori”.