Come una Madonna, la donna avvolta nella coperta termica, quasi fosse un velo d’oro regale, è una migrante di colore. Gli occhi chiusi, rivolti all’interno di se stessa, è in una posa di serena predisposizione; forse prega. Non c’è alcuna retorica nel dipinto di Salvatore Alessi – nato nel 1974 in Sicilia, lo studio in una specie di grande sottoscala nella periferia di Milano – nessuna tensione politica o forzatura ideologica, solo la capacità di aver colto una persistenza iconografica e di avercela restituita nella sua poetica bellezza. E in effetti Migrant Mother (2019) non può che farci pensare alla fotografia, dallo stesso titolo, di Dorothea Lange, una delle immagini più famose del Novecento: una madre bianca ai tempi della grande depressione che abbraccia i propri figli seduta in una tenda da campo, anch’ella sta migrando dall’est all’ovest degli Stati Uniti in cerca di salvezza. O ancora, ci ricorda l’Annunciata di Antonello da Messina, la stessa posizione di quasi fremente attesa, la stessa figura, un perfetto triangolo, il velo e un blu simile, le mani in primo piano. Così nascono le icone che portiamo in processione per chiedere la grazia.