Milano, dal 30 maggio al 4 novembre 2025 entra in vigore un’ordinanza che regola la movida in tredici zone della città. Scopo dichiarato: far dormire i residenti, ridurre i rumori, contenere gli eccessi. Tutto giusto, sulla carta. Ma in una città vera, come in una famiglia vera, i problemi si risolvono parlando, non spegnendo la luce prima di cena.
TUTELARE IL RIPOSO, MA A CHE PREZZO?
L’ordinanza prevede limiti agli orari di apertura di bar, dehors e locali artigianali. Così facendo, però, non risolve il problema: lo sposta. Alcune zone si svuoteranno, altre si affolleranno. Una concorrenza involontaria tra quartieri, che penalizza chi è più controllato a vantaggio di chi resta nell’ombra. E poi c’è la questione umana. Milano non è fatta solo di vetrine e musei. È una città di cemento, monolocali, finestre senza balcone. I dehors e le panchine delle piazze sono il soggiorno urbano di chi non può permettersi altro. Togliere quegli spazi significa privare di un diritto il cittadino.

L’ECONOMIA INVISIBILE SOTTO I BICCHIERI
Dietro ogni bicchiere servito, c’è un cameriere. Dietro ogni sedia all’aperto, c’è una licenza da pagare, anzi già pagata. I plateatici in estate valgono fino al 70% del fatturato per molti locali. Ridurne l’uso significa comprimere l’occupazione, bloccare stagionali, scoraggiare investimenti. E non si parla solo di aperitivi: si parla di economia vera, bollette da pagare, famiglie da sostenere. «Il danno più grande non è solo economico» spiega l’associazione Garibaldi District. «Il punto è che frammentare le regole tra una zona e l’altra distrugge la coerenza urbana. Si modellano i flussi sociali. Le persone si spostano dove si può restare più a lungo, e con loro si sposta anche il lavoro».
DEGRADO E SPORCIZIA: LA SCUSA PERFETTA
Tra le motivazioni dell’ordinanza ricorre spesso il tema del decoro. Ma anche qui, l’associazione Garibaldi District è netta: «La sporcizia si risolve con la pulizia urbana, non con i divieti. Servono più spazzini, magari notturni. I locali ben gestiti fanno da presidio, non da problema. Chiuderli significa lasciare spazio all’abbandono, non all’ordine».
Quanto alla delinquenza, la narrazione che lega direttamente la movida al crimine appare, ancora una volta, fuorviante. «Ho tre locali. In nessuno si sono mai verificati episodi violenti. Selezioniamo i clienti, diamo un’identità ai luoghi. Ma ovviamente non possiamo sapere chi abbiamo di fronte. La verità è che la presenza attiva dei gestori rende le strade più sicure, non il contrario». Dice uno dei membri della Garibaldi District.
La situazione è critica in tutte le zone toccate dall’ordinanza: «Navigli e Porta Venezia sono già in crisi. La scorsa estate è stata durissima, e i commercianti non si sono ripresi. Garibaldi — una zona costruita con fatica in venticinque anni — oggi si svuota. I clienti migrano altrove. È una Milano a macchia di leopardo, e non è la Milano che vogliamo».

UN RISCHIO SOCIALE: LA SOLITUDINE
L’amministrazione sostiene che l’obiettivo dell’ordinanza sia migliorare la qualità della vita. Ma la qualità non è solo il silenzio: è anche la possibilità di socializzare, riconoscersi, parlare. I locali — quando ben gestiti — sono spazi di inclusione, luoghi dove si combatte la solitudine più che il rumore. Chi arriva da un’altra città, chi è solo, chi non ha reti: spesso trova proprio lì un modo per non sentirsi escluso. Spegnere questi luoghi significa desertificare le relazioni. E in certi quartieri, il silenzio può fare più male del chiasso.
LA SICUREZZA È PRESENZA, NON ASSENZA
Uno dei motivi che spingono all’ordinanza è la sicurezza. Ma la sicurezza non si garantisce spegnendo le luci. Si garantisce accendendo presenze: agenti, operatori, volontari, mediazione, fiducia. Una città è sicura quando è vissuta, frequentata, riconoscibile. Quando le persone si vedono, si salutano, si raccontano. E quando la Polizia Locale non interviene solo per far abbassare le serrande, ma accompagna la vita notturna con autorevolezza, non come punizione.
PER CONCLUDERE
Una Milano viva è anche una Milano che si protegge. Non chiudendosi, ma restando aperta e responsabile. E oggi ha bisogno di coraggio: non quello di chi spegne la musica per non sbagliare, ma di chi ascolta tutte le voci e cerca un accordo. Perché una città non è mai davvero viva se la notte, per vivere, deve nascondersi.