Quell’americanata che piace ai radical chic dello screzio a tutti i costi

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L’americanata degli ultimi tempi si chiama “cultura della cancellazione” e consiste nell’eliminazione della storia collettiva di un popolo. Come ogni cosa inutile, è fluorescente e perciò attira irrimediabilmente a sé i diseredati dell’identità, i radical chic dello screzio a tutti i costi e i narratori delle gesta acritiche. Librerie, programmi scolastici, toponomastica, intitolazioni e monumenti sono tutti abbattuti, censurati, occultati in nome del politicamente corretto e delle bandiere a sette colori. Ne viene fuori una muratura del pensiero i cui estremi sono il buonismo a tutti i costi e la violenza con cui lo si difende: nel centro, lo scempio della società storica, la memoria che fa ammenda del suo genio artistico e l’oltraggio monumentale.

Tutto spiegato lucidamente nel volume Iconoclastia (Eclettica Edizioni, 400 pagine, in libreria dal 24 novembre). In una prefazione, dodici capitoli, epilogo, appendice e glossario, Emanuele Mastrangelo ed Enrico Petrucci hanno analizzato il fenomeno più assolutamente disorganico e pericoloso degli ultimi tempi. Disorganico perché non ritenuto connesso al fatto che un pensiero che omette la propria storia difficilmente riuscirà a fare un bilancio oggettivo della totalità; pericoloso, d’altra parte, perché, come scrive Emanuele Merlino (curatore della prefazione), “un fenomeno quando comincia ad avvenire difficilmente si ferma ma, anzi, accelera fino a diventare inarrestabile”. Come salvarsi? Forse, proprio cominciando dalla contestualizzazione delle deboli basi teoriche su cui poggia tale deriva iconoclastica tutta ignorante e ripartendo da libri come questo.

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