Se c’è una cosa che fatta coi piedi non è pedestre, quello è votare. “Votare coi piedi” è un antichissimo modo per esprimere la propria opinione politica. Piazzandosi in uno schieramento o nell’altro, abbandonando un consesso in segno di dissenso. O, nel caso dei referendum previsti dal nostro ordinamento, andando al mare anziché alle urne.
Già, perché se il voto (art. 48 della Costituzione) è un “dovere civico”, va anche sottolineato che la Carta non specifica “come” votare. C’è chi nel segreto della cabina elettorale mette la sua brava croce su un partito o un quesito. C’è chi però scrive frasi di protesta sulla scheda elettorale (frasi che poi dovrebbero essere verbalizzate). C’è perfino chi vi schiaffò dentro una fetta di mortadella accompagnandola con l’icastico “e mò magnateve pure questa”. Tutte attività perfettamente legittime. Annullare la scheda è un legittimo metodo dell’elettore per far emergere il proprio dissenso verso l’offerta politica.
Ma nel referendum, a differenza dell’elezione politica, c’è anche l’istituto del quorum: ovvero, una consultazione che non raggiunga il 50% degli elettori più uno è ritenuta non valida. Dunque non presentarsi alle urne è una chiarissima espressione di volontà dell’elettore. Semmai è l’astensionista che si confonde fra i “no” al referendum. Ma chi non va a votare per scelta sta compiendo un atto politico in perfetta linea col dettato costituzionale.
Fin qui la lezioncina di diritto formale e vivente.
Ora entriamo in corpore vivi. Perché nel metodo abbiamo chiarito che tutti gli attacchi subiti dal presidente del Senato Ignazio La Russa per aver espresso la propria posizione pro-astensione sono pretestuosi e volgari, oltre che minati da ignoranza delle leggi (che come sappiamo non è una scusa…): non recarsi alle urne, dunque “votare coi piedi” è una posizione più che legittima. Ora entriamo nel merito.
Questo referendum prevede cinque quesiti, disposti come la carne tritata e i cocci nelle polpette che i ladri tirano nei giardini per ammazzare i cani da guardia. Quattro quesiti riguardano temi legati al mondo del lavoro. Il quinto è il coccio nascosto: un referendum per abbassare il numero di anni di residenza sul suolo nazionale da 10 a 5 in ordine alla concessione della cittadinanza. Il risultato immediato? Due milioni e mezzo di “nuovi italiani” creati dall’oggi al domani, come dichiarato apertis verbis da Landini in un comizio. Due milioni e mezzo di elettori, un bacino immenso, ovviamente, si presume, ben disposto a sostenere le sinistre, come del resto i risultati elettorali dei paesi europei “più avanzati” (sulla strada dell’auto-genocidio, s’intende…) dimostrano senza tema di smentita.
Ora prendiamo l’altro corno del problema: i quesiti sul diritto del lavoro. Si tratta d’abolire provvedimenti relativi al Jobs Act, introdotte principalmente con il Decreto Legislativo n. 23/2015 e altre disposizioni del 2014-2015. Ossia a norme fatte e votate da una maggioranza di centrosinistra, col PD in testa. In altre parole, oggi, il PD ci sta chiedendo di andare alle urne per votare contro ciò che il PD dieci anni fa aveva fatto approvare. Naturalmente il sospetto che ci coglie, in quanto malfidati e complottisti, è che pur di spalancare all’Italia una stagione di immigrazionismo senza limiti il PD sia disposto a disconoscere il proprio operato, sacrificandolo sull’altare del Moloch dei confini aperti.
E c’è quindi l’ultima questione. Quella che tocca il sublime, anche grazie al gustoso siparietto di Riccardo Maggi che si presenta a Montecitorio vestito da fantasma (o da membro del KKK? Non abbiamo capito bene…). Ed è il fatto che se – a Dio piacendo – gli italiani sceglieranno la spiaggia alle urne, i comitati promotori di questi referendum resteranno col conto in mano e non potranno andare a batter cassa al ministero degli Interni, pretendendo i rimborsi elettorali (pagati beninteso coi soldi dei contribuenti, anche di chi è contrario ai referendum). Grazie infatti alla Legge n. 352/1970 se non si raggiungerà il quorum i promotori potranno chiedere i rimborsi solo per la metà delle spese elettorali documentate. Così, la domanda è lecita: Maggi era vestito da fantasma o era la metafora della paura dello scontrino che verrà battuto a +Europa e compagnia cantante a urne chiuse?
Ecco dunque un centone di buoni, ottimi motivi per fare come Gabriella Ferri comanda: