Sud: lo Stato l’ha smontato, la globalizzazione ha fatto il resto

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Foto di Giancarlo Composto da Pixabay

Gino Giammarino è uno “scatenatore culturale”, che con le sue attività editoriali e giornalistiche cerca di promuovere l’identità mediterranea, la cultura del nostro sud al di la delle chiusure ideologiche, inserendola in un contesto nazionale ed europeo, promuovendo il dialogo e l’approfondimento. Raccontando un identitarismo della propria terra lontano dai paraocchi del meridionalismo, dalle atmosfere nostalgiche neoborboniche e da quelle pseudo meridionaliste di Gramsci e Salvemini, fatte di “strategie mirate al consenso del proprio partito nelle masse meridionali, mai alla costituzione di posizioni ispirate autonomamente alla rappresentatività delle istanze provenienti dalle terre e dai popoli meridionali che cercano di portare il malcontento del nostro Sud sotto il dominio del centrosinistra italiano attuale, palesemente in crisi di identità”.

Cos’è per lei l’identità meridionale?

Quel percorso compiuto nel tempo dai nostri popoli che, per riassumere le tappe principali, partendo dalla Magna Grecia, passando per Federico Stupor Mundi e le Costituzioni di Melfi, il vicereami spagnolo del ‘600 per poi chiudersi con il regno della Real Casa di Borbone, ci permette di riconoscerci come appartenenti ad una Nazione, una Etnia e ad un gruppo sociale aventi le stesse caratteristiche. Caratteristiche riconosciute in tutto il mondo, se è vero come è vero che l’Italia nasce dalla Calabria.

Per lei la globalizzazione che impatto ha avuto sul sud? E sull’identità meridionale?

La globalizzazione dei mercati ha accelerato il processo di disfacimento dell’economia meridionale già palesemente in difficoltà per le politiche colpevoli dello Stato centrale che hanno penalizzato il nostro Meridione. Dunque, un processo che ha favorito altre economie depresse del mondo, in Italia ha ottenuto l’effetto opposto sul Sud, sacrificato sull’altare dell’Italia unita che non ha voluto creare per noi quelle “zone franche” che avrebbero favorito lo sviluppo delle nostre terre. Per quanto riguarda l’identità, con il suo tentativo di creare un pensiero unico cancellando il punto di vista personale degli individui, la globalizzazione, unita allo strapotere di una tecnologia fine a se stessa che veicola immagini senza contenuti, rappresenta un pericolo per tutte le identità, non solo per quella meridionale – come tutte le altre – sotto attacco dalla falsa modernità.

Riscoprire le proprie radici e tradizioni culturali è anacronismo o l’unico mezzo per avere una identità consapevole?

Come tutte le cose è questione di misura: vivere totalmente nel rimpianto del passato è certamente anacronistico. Conservare la nostra identità, o meglio ancora il punto di partenza di un popolo significa capire che tipo di cammino e quanta strada si è fatta, dove siamo arrivati e dove vogliamo andare domani. Una valutazione impossibile per chi, avendo subito attraverso la globalizzazione la cancellazione del proprio porto di partenza, non potrà mai calcolare l’importanza del proprio viaggio.

Quali iniziative proporrebbe per sanare la “questione meridionale”?

Le recenti ripartizioni del Recovery parlano chiaro: l’Europa aveva destinato per il nostro Sud una quota oscillante tra il 68 ed il 72 per cento dei fondi stanziati. Per la ministra Carfagna, ahimé meridionale, riceverne il 40% (cioè, quasi la metà) è stata una grande vittoria. I punti cardinali sono: Autonomia amministrativa; rispetto di te tra tutte le identità dei popoli italiani ed europei; Macroregione Meridionale e Mediterranea che dialoghi “inintermediari” (cioè, senza le tagliole delle segreterie romane) con un’Europa dei popoli e non dei conti correnti bancari, secondo la rappresentanza dell’E.F.A. (European Free Alliance).

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