Palcoscenico da leggere. Mathilde. Atto secondo parte seconda. Finale

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mathilde

È difficile immaginare un connubio così diverso e strano tra due uomini profondamente diversi. La “Vergine folle” e lo “Sposo infernale”. Eppure si deve proprio a Paul Verlaine se oggi conosciamo la poesia di Arthur Rimbaud. Fu lui a far pubblicare, senza il consenso, i suoi versi, mentre  Arthur era in Africa in tutt’altre faccende affaccendato. Una vita veramente in controtendenza quella del giovanissimo poeta: a soli 21 anni decise di allontanarsi dal Mondo che lo aveva prodotto e si avventurò, a piedi, in un viaggio interminabile, a più riprese, che lo portò fino ad Harar, in Africa; non per continuare a scrivere, ma per fare commercio di armi e di merci che lo avrebbe sollevato da ogni angustia economica e nel contempo gli avrebbe assecondato la necessità di scoprire realtà nuove. Non è certo, ma pare che in quella parte del Mondo che oggi è infestato da fazioni religiose turbolente e che già allora costituiva un approdo pericoloso quanto indispensabile per i traffici commerciali in concomitanza con l’apertura del neonato Canale di Suez, egli abbia fatto anche tratta di schiavi, ancora fiorente nella fine ottocento. Il fatto desta ancor più stupore e riprovazione se messo in confronto con un’anima libera, dal pensiero aperto, che con una dimensione affaristica e razzista poco o nulla c’entrava. L’aver ripudiato tutte quelle scelte, giudicate sbrigativamente smanie giovanili, resta incomprensibile a tutti gli studiosi che oggi celebrano ed apprezzano il Rimbaud poeta e non certo l’esploratore o il mercante. L’epilogo della sua giovane vita che si spezzò a soli 37 anni, fu davvero drammatico. Ammalatosi di un infezione al ginocchio destro, probabilmente un tumore osseo, fu costretto a lasciare precipitosamente, tutto quel che aveva accumulato in Africa, per ritornare in Francia e sperare di ricevere quelle cure che ad Harar non poteva avere. Fu inutile. Sbarcato a Marsiglia, già in condizioni critiche, gli venne amputata la gamba nel tentativo di salvargli la vita; una tragedia per quello che era stato definito “l’uomo dalle suola di vento”, che in mezzo a dolori e sofferenze atroci, si spense sei mesi dopo. Verlaine, invece, abbandonato il sodalizio col suo amico, continuò la sua vita irrisoluta, muovendosi nel Mondo letterario che gli attribuì la fama e la notorietà che meritava, tanto da farlo diventare un richiesto conferenziere. La relativa tranquillità economica ed il riconoscimento nelle Lettere che aveva ostinatamente inseguito, non lo salvarono dalla solitudine e dall’alcolismo, rifugio disperato di un uomo che non aveva mai creduto in sé stesso. L’epilogo della storia con Rimbaud, non fu sufficiente a riprendere i rapporti con la moglie, dalla quale divorziò e con cui non ebbe più rapporti, così come col figlio. Morì cinque anni dopo il suo “Sposo infernale”, dopo averlo fatto conoscere a tutto il mondo, meritoriamente. Anche qui, come si vede, la storia di Mathilde si incrocia con i due “poeti maledetti” restando opaca. A suo risarcimento dirò che si sposò nuovamente e finì i suoi giorni a Nizza, sulla Costa Azzurra, gestendo una pensione turistica, dove morì nel 1914. Nel vano tentativo di restituire alla Verità i fatti di cui era stata testimone, scrisse delle memorie, i cui brani tradotti in italiano e finiti su una bancarella di Anzio, negletti e dimenticati per la mancanza di notorietà dell’autrice, stimolarono un ragazzo a scriverne una commedia, nell’estate del 1988. Quella che state scorrendo ora.

Buona lettura.

MATHILDE

Commedia in due atti

Personaggi

1° Signore

2° Signore

3° Signore Clienti della pensione De Fleurville

Mathilde anziana

Paul Verlaine

Charles De Sivry

Mathilde giovane

Avv. Mautè, padre di Mathilde

M.me Mautè, madre di Mathilde

Louise, la cameriera

M.me Verlaine, madre di Paul

Arthur Rimbaud

Appare Louise.

LOUISE: Ci siamo! Sta per nascere! ( e rientra subito)

I due accorrono verso la porta e restano in silenzio carico di apprensione. Si ode un vagito. Esce Louise.

LOUISE: E’ maschio!

VERLAINE: Mia moglie come sta?

LOUISE: Sta benissimo. È un fiore. Come sono contenta!

PADRE: Sia lodato il cielo!

Si spengono le luci. Quando si riaccendono è passato qualche giorno. Sul divano di casa Mautè siedono Madre, Padre e la Madre di Verlaine.

MADRE: M.me Verlaine, il piccolo Georges è un sogno!

M.ME VERLAINE: Non vedo l’ora di tenerlo tra le braccia. Mio figlio mi ha detto che è un amore. Ho un nipotino tutto mio! Quante cose avrò da raccontargli…

si ferma a riflettere ricordando le brutte vicissitudini del figlio di cui evidentemente è stata messa al corrente.

Questo figlio farà di Paul un altro uomo. È la provvidenza che lo ha mandato. Ha perso per un momento la strada buona, quella della rettitudine, ma ora questa nuova responsabilità lo farà un padre e un marito senz’ombre. Lo sento.

MADRE: Speriamo M.me Verlaine. Abbiamo così bisogno di pace in questa casa…

PADRE: M.me Verlaine io ho fatto un paio di discorsetti a vostro figlio. L’ho aspramente rimproverato, ma non l’ho fatto con astio. Però gli ho fermamente intimato di smetterla con questa vita dissipata e sciagurata: è ora che pensi alla sua famiglia e alla sua vita.

MADRE: Il nuovo evento sembra averlo toccato profondamente. Da più giorni è stabilmente vicino a Mathilde. Si occupa persino del bambino; si corica ad ora decente, non esce quasi mai e fa pasti regolari tavola con noi.

M.ME VERLAINE: Ecco, è come dicevo io. Questo figlio cambierà molte cose. Lo ha mandato la Provvidenza.

Entrano Verlaine e Mathilde con in braccio il bambino.

Oh eccoli qua! Fatemi vedere subito questo marmocchio!

MATHILDE: (mentre glielo porge) Badate mamma, ha appena mangiato. Potrebbe sporcarvi. 

M.ME VERLAINE: Oh, non c’è pericolo. E poi… quando tenevo in braccio suo padre ne combinava di tutti i colori. Signore Iddio, quant’è bello! Allora è deciso, lo avete chiamato Georges?

MATHILDE: Si, abbiamo deciso per Georges. Ci sembra un bel nome.

M.ME VERLAINE: Georges…Georges Verlaine. Si. È un bel nome, altisonante. Si addice ad un uomo importante, un ministro, un alto magistrato, forse un medico. Un uomo famoso.

MATHILDE: (stringendosi il marito) … come suo padre.

VERLAINE: (ripagando la gentilezza) cara…sei tu la vera stella della famiglia.

PADRE: Allora, come vi trovate al nuovo lavoro presso la società delle assicurazioni?

VERLAINE: Bene. Avevo bisogno di rifondare la mia esistenza. È tutto merito di Mathilde e delle piccolo Georges. Ho promesso di essere un altro uomo. Basta con il passato e con…certe amicizie. Non mi è stato più possibile riprendere contatti con il Municipio. Il mio passato di comunardo mi ha pregiudicato la carriera. Ma non fa nulla. Sono contento di ricominciare da zero. Darà più significato al mio drastico cambiamento.

PADRE: I giovani sono fatti anche per fare delle fesserie. È nella loro natura. Ma…l’importante è ravvedersene per tempo.

VERLAINE: State tranquillo papà. Tutto cambierà…in meglio.

M.ME VERLAINE: (si alza e lo accarezza) Dio ti benedica, figlio mio e benedica i tuoi buoni propositi.

Si spegne la luce. Quando si riaccende, la scena mostra la stanza i coi mobili e suppellettili  coperti in modo che non vi sia più traccia dell’arredamento precedente. Seduto a terra sguaiatamente c’è Arthur Rimbaud che sta sfogliando dei manoscritti. Il suo abbigliamento è come al solito trasandato. A terra vicino al suo corpo c’è una bottiglia dalla quale beve a tratti direttamente senza ausilio del bicchiere. Entra Verlaine. Al suo comparire Rimbaud non lo degna di uno sguardo e continua meccanicamente a leggere, scrivere e bere.

VERLAINE: Arthur, sono potuto arrivare solo adesso. Il bambino si è messo a piangere e Mathilde era tanto preoccupata. Poi si è capito tutto: aveva fame, povera creaturina! Vedeste con quanta avidità poppava.

RIMBAUD: Merda! Solo merda! Avete portato i soldi?

VERLAINE: Dovete avere un po’ di pazienza. Non mi hanno ancora dato lo stipendio. Mi sono fatto prestare dei denari da mia madre. È poca cosa, ma…

RIMBAUD: E quant’è questa “poca cosa”? lo sapete bene che ho bisogno di denaro. Dannazione! Quella megera della padrona di casa si è già presa quella miseria che mi avete dato ieri e sono rimasto a secco. Anche l’assenzio è finito, guardate (e mostra la bottiglia ormai vuota). Che schifo la vita! Aveva ragione il grande Baudelaire: “…Parigi, babele, tafferuglio, mostruoso ammasso d’uomini e pietre, m’hai dato il tuo fango ed io l’ho trasformato in oro!”. Ecco il mio oro! ( e mostra un fascio di fogli). Le mie “illuminazioni”, i pensieri del grande veggente, la vostra guida spirituale, il vostro ossigeno! Prendete (e glieli tira in faccia). È merda! Tutta merda! Vi coprirò di merda.

Verlaine si getta sui fogli per riprenderli.

VERLAINE: Non fate così, non siate cattivo!

RIMBAUD: (con un calcio lo manda a terra e gli monta con un piede sopra) Piccolo schiavo servile! Non avete un briciolo di orgoglio. La vostra bontà mi fa vomitare. Non so più che farmene di voi e di questa vita. Me ne andrò lontano e voi sarete libero di tornare da quella stupida di vostra moglie e fare la balia al piccolo mostriciattolo per farvi succhiare l’anima!

VERLAINE: No! Vi supplico, non dite così! (e gli abbraccia le gambe) Non mi lasciate. Voi siete indispensabile. Vi darò dei soldi. Quanti ne vorrete. Ma ve ne supplico, non mi abbandonate. Ecco, ecco (e comincia a tirar fuori del denaro dalle tasche) qui c’è tutto quello che ho.

RIMBAUD: (mentre prende e conta) State anche diventando avaro. Una dote che vi ha certamente insegnato quel cretino di vostro suocero. Avevate detto che avevate poco denaro…

VERLAINE: Avevo promesso di pagare il conto alla sarta. Dirò che ho perduto il denaro. Prendetelo, prendetelo, ma per l’amor di Dio, non mi parlate più così! (poi tentando di ricomporsi) Fatemi leggere qualcosa che avete scritto.

RIMBAUD: (continuando a contare il denaro) No. Non ne ho voglia. Non è molto ma vedrò di farmelo bastare. Eh, mio caro, voi non siete fatto per questa vita. Avete l’anima borghese. La vostra educazione vi impedisce di trasgredire fino in fondo. Il poeta lo si fa in strada, nelle osterie, nel marciume della vita. Altro che salotto di casa Mautè! Dovreste capirlo e rassegnarvi. Se non c’ero io a darvi questa carica, a sostenere questo impulso, a scuotere e scomporre i vostri sensi e la vostra mente, voi scrivevate ancora di tramonti e di altre scempiaggini.

VERLAINE: Non è vero…

RIMBAUD: Come, non è vero? Da quando vi è nato il figlio poi, vi siete ancor più rammollito. Parlate di doveri, di sorrisi, di pappe… E ditemi, la vostra Mathilde vi rende felice? Com’è a letto? Appassionata, ma non troppo, per il timore di sembrarvi una donnaccia?

VERLAINE: Arthur, vi prego, parliamo di poesia.

RIMBAUD: Ma questa è poesia! Il vostro miserabile squallore, questo tentennamento tra cristiana rassegnazione e turpitudine pagana, questa è arte sublime! E voi siete troppo sciocco per capirlo! Andatevene via, m’avete nauseato.

VERLAINE: (supplicante) Ve ne prego, abbiate pietà. Insegnatemi, guidatemi. Tengo alla vostra amicizia anche per questo.

RIMBAUD: Non c’è tempo. E non ne ho voglia, anche perché non sono sicuro che lo vogliate comprendere veramente.

VERLAINE: Starò qui con voi. Al diavolo la famiglia! Passeremo la notte insieme.

RIMBAUD: Non è possibile. Lo sapete bene. Vi caccerebbero di casa e non vi farebbero più vedere moglie e figlio.

VERLAINE: (gridando) Non me ne importa più niente di loro! Solo con voi mi sento bene, lo volete capire?

RIMBAUD: Fate come volete. La vita è la vostra. Alle cinque viene Gavroche. Faremo un giro dei bar e poi andremo a farci due risate al Theatre Francais dove danno un nuovo lavoro di quell’imbecille di Coppee. Sarà una delizia fischiarlo!

VERLAINE: Verrò anch’io. Anzi, andremo da soli, senza Gavroche! Via Arthur, ditemi di sì.

Rimbaud grugnisce

RIMBAUD: Verrete domani con altri soldi?

VERLAINE: Tutto quel che vorrete!

RIMBAUD: Beh, io vi ho avvertito. Sarò la vostra perdizione. L’anticristo. State attento, finché siete in tempo. Abbandonatemi.

Lentamente si spegne la luce. Dopo una breve pausa, al riapparire delle luci, si mostra al pubblico la scena del salotto di casa Mautè. Padre, madre e Mathilde. Il padre brandisce il giornale.

PADRE: E’ inaudito! Guardate qua! Siamo svergognati davanti a tutta la città. Il disonore, il disonore!

MATHILDE: (affranta) Mi aveva detto che era cambiato. Che sarebbe cambiato. “Basta con il passato di dissolutezze…” “basta con quel mostro di Rimbaud…” Tutte menzogne! Erano tutte menzogne! ( e scoppia a piangere) Sono stanca. Sono sfinita. Mamma, papà non lo voglio più vedere!

MADRE: Certo, quando tornerà ci dovremo far sentire.

PADRE: Troppo tardi! Era necessario non essere permissivi allora. Sono stato il solo ad ostacolare questo matrimonio. Tutti vi siete fatti abbindolare dal poeta, da questo padreterno. L’ho sempre detto che non mi piaceva. E avevo ragione.

MADRE: Adesso vi prego, non ricominciate con la solita sfuriata. Il passato è passato. Ora dobbiamo fronteggiare il futuro.

PADRE: Il futuro? Del presente dobbiamo occuparci! Questo giornale è la nostra vergogna! Ma avete capito? (e prende a leggere il giornale) “…ieri sera grande appuntamento al Theatre Francais per una serata d’arte toccante. Tutta Parigi ha ammirato la rappresentazione della piece di Coppee. Tra gli uomini di lettere presenti si distinguevano il poeta Paul Verlaine che offriva il braccio ad una graziosa giovinetta, Madmoiselle Rimbaud.” (e scaraventa il giornale per terra). È ributtante.

MADRE: Quel che è peggio è che a scrivere l’articolo è stato il suo amico Edmond Lepelletier. MATHILDE: Non capisco la sua meschinità a scrivere in quel modo. Cosa c’entra quel “Madmoiselle Rimbaud”? perché ha scritto che quello sciagurato era una femmina?

PADRE: Mathilde, ti prego, vai in camera tua!

MATHILDE: Voglio attendere che torni Paul. Dovrà spiegarmi tante cose. Sarò risoluta. Se non abbandona l’amicizia di quel Rimbaud, chiederò il divorzio. Sono decisa, e vi prego di aiutarmi. MADRE: Certo, certo, Mathilde. Ma ora vai in camera tua. Ti prego.

MATHILDE: Ieri mi aveva detto che andava ad una riunione con altri poeti e letterati per discutere di un manifesto comune. Ed ora scopro che invece si incontra con quell’essere. Capite? Diceva di amarmi e rinunciava a tutto per me, e invece non era vero nulla. Come sono delusa. Delusa e disperata. Non c’è più scampo. Continuerà la vita di prima. Tornerà tardi la sera ubriaco e violento. Non posso sopportarlo. Non posso. Cosa ho fatto per meritarmi questo castigo? Quali colpe devo espiare?

MADRE: Mathilde, ti prego. Calmati. Riposati. Domani sistemeremo ogni cosa. Louise ti porterà una tisana calda.

Mathilde meccanicamente si avvia verso l’uscita delusa e sconfitta. Madre e padre rimangono soli.

MADRE: Chi vi ha dato notizia del giornale?

PADRE: Se ne parla in continuazione. Tutta Montmartre ride. Ho avuto un colloquio con Charles. L’ho messo sotto torchio. Si è schernito. Mi ha detto che Lepelletier ha scritto in quel modo per punire Rimbaud che odia svisceratamente – come tutti del resto. Voleva fargli fare una pessima figura sia a lui che a vostro genero, disapprovando la loro amicizia. Ma…

MADRE: Ma…?

PADRE: Ho incalzato. Ho chiesto cosa significasse quel “Madmoiselle Rimbaud”. Perché “Madmoiselle”?

MADRE: E allora?

PADRE: (dopo una pausa piena di imbarazzo) Charles dice che… tenevano un atteggiamento equivoco.

MADRE: Cosa vuol dire “ un atteggiamento equivoco”?

PADRE: Via, cercate di capire. È imbarazzante spiegarsi nei particolari…

MADRE: In nome del cielo, volete essere chiaro?

PADRE: Insomma, sembravano… sembravano… due fidanzati.

MADRE: Cosa? Ma siete impazzito?

PADRE: Si scambiavano effusioni davanti a tutti. Hanno scandalizzato la platea.

MADRE: Non ci credo. Non è possibile.

PADRE: Cosa non credete? Pensate che Charles mi abbia mentito?

MADRE: (dopo una pausa di riflessione) Dio mio, ma è mostruoso! È turpe!

PADRE: Domani mattina Mathilde parte, col bambino, per la casa dei nostri parenti in campagna. È necessario, innanzitutto, staccarla da suo marito, se così si può ancora considerare. Poi avvieremo le pratiche per la separazione. Viste le cose come stanno, non avremo nessuna difficoltà ad ottenerla.

Pausa carica di tensione.

MADRE: (inebetita) Povera Mathilde… e poveri noi.

Si spegne la luce. È passata la giornata. Notte fonda. Dopo qualche istante, con il buio ancora totale, si sentono alcuni passi incerti e l’incespicare di qualcuno che è entrato nella stanza. È Verlaine, visibilmente ubriaco. Mathilde, che nello stato di agitazione in cui si trova, evidentemente non ha preso sonno, accortasi dei rumori, entra nella stanza con una candela in mano. È in vestaglia da notte ed è impaurita.

MATHILDE: Chi è? Che c’è nella stanza?

VERLAINE: Sono io. Tuo marito. Mi stavi aspettando, tesoro mio?

MATHILDE: Paul, in nome del cielo! Ma sei impazzito? Sono due giorni che manchi da casa. Dove sei stato?

VERLAINE: In posti innominabili. Dove s’annida il Male, dove tu non ti sogneresti mai di andare.

MATHILDE: Ma tu sei ubriaco…

VERLAINE: Sono spaventosamente ubriaco. Ho fatto il giro delle bettole con la gattina bionda.

MATHILDE: Sei disgustoso. E sei anche un incosciente. Sono due giorni che manchi da casa. Non ti è venuto in mente che eravamo in pensiero?

VERLAINE: Eravamo? Chi? Perché usi il plurale, cara?

MATHILDE: Tutti in casa eravamo preoccupati.

VERLAINE: Davvero? E cosa avete immaginato? Che me ne fossi andato via?

MATHILDE: Magari l’avessi fatto. Paul. Tu mi hai deluso. Tante promesse, tanti ripensamenti, tanti rimorsi e ricominci sempre da capo. Io non ne posso più. Basta con questa vita. Voglio che mio figlio viva in un ambiente sereno, non in un inferno.

VERLAINE: Hai letto il giornale?

MATHILDE: Me l’ha mostrato mio padre. Ti avevo intimato di scegliere tra l’amicizia di Rimbaud e il nostro matrimonio. Mi hai solennemente promesso di non vederlo più ed io ti ho creduto. Che sciocca! Sono passati pochi giorni trascorsi da marito e padre che subito tutto t’è venuto a noia e sei corso da quel disgustoso ad ubriacarti ed abbrutirti. Guardati, sei in uno stato pietoso. Ha fatto bene il tuo amico Lepelletier a scrivere quell’articolo sul giornale. Bella figura ci avete fatto!

VERLAINE: Lepelletier è uno schifoso! È divorato dall’invidia e dal livore.

MATHILDE: Ma perché non apri gli occhi? Sei rimasto l’unico a difendere Rimbaud. Non lo sopporta nessuno. Ti sei mai chiesto veramente perché? Cos’ha di tanto speciale da attrarti in questo modo?

VERLAINE: Tu non puoi capire. Egli mi è indispensabile.

MATHILDE: Indispensabile a che cosa? Alla tua ispirazione? Alla tua formazione di artista? Gli vali 100 volte e non hai bisogno del suo malsano supporto.

VERLAINE: Tu non capisci.

MATHILDE: E allora spiegamelo. Fammi capire. Forse rendendomi conto potrò fronteggiare meglio questa situazione.

VERLAINE: La vera vita, quella bruta, ti spaventa. Non saresti nemmeno in grado di decifrare il senso delle mie parole.

MATHILDE: Insomma basta! Basta con queste arie da grand’uomo a cui tutto è permesso. Tu sottovaluti tutti per paura di rivelarti quello che in effetti sei. Un uomo fallito!

Verlaine, colto da quella frase, ha un moto di ribellione. Tenta di alzare la mano per colpirla con uno schiaffo, ma Mathilde lo previene incalzandolo e guardandolo duramente negli occhi.

Se mi colpisci è la prova lampante di quel che ho detto! Cosa credi di fare prendendotela con me per una carenza che è solo tua? Dovresti vergognarti di te stesso, di quel che eri e di quel che sei diventato. E di questo ringrazia Rimbaud.

VERLAINE: Non capisci, non capisci! Dici solo cattiverie. Lui si che mi capisce. Lui sa comprendere il mio animo e mi tira fuori sensazioni e rivelazioni che non avrei mai compreso da solo o con il tuo aiuto. Eppure non mi ama. Mi è anzi spesso ostile. Si diverte a torturarmi e a provocare la mia bontà e i miei tentennamenti che non sopporta. È cattivo, ma mi è necessario infinitamente più di te che sei buona e vuoi amarmi.

MATHILDE: Paul, mi stai dicendo che non mi ami più?

VERLAINE: Finalmente l’hai capito!

MATHILDE: E preferisci la sua amicizia al mio amore?

VERLAINE: La nostra non è amicizia.

MATHILDE: E cos’è, fratellanza, un patto di sangue?

VERLAINE: Possibile che non lo comprendi? Io lo amo. (pausa. Mathilde rimane inebetita). Lo amo come si ama la propria sposa, la propria amante. Egli è il mio sposo infernale. Quando facciamo l’amore o mi accarezza mi fa sgorgare i sentimenti e le emozioni che mi danno le sue poesie e le sue discussioni sulla vita e sull’avvenire, e dimentico le cattiverie che ho ricevuto. È un connubio perfetto di arte e amore. Comprendi ora perché non posso rinunciarci?

Mathilde dopo un’interminabile pausa, nella quale sempre fissandolo negli occhi, dimostra tutto il suo stupore e il suo sbigottimento, lo colpisce con un violento e sonoro schiaffone che per il colpo e la sorpresa fa cadere a terra Verlaine

 MATHILDE: Ecco cosa significava quel “Madmoiselle Rimbaud” dell’articolo sul giornale! Io stupida non riuscivo a capire a cosa si riferisse. Invece… Dunque tutti sanno…e nessuno mi ha detto mai nulla… (pausa) Tu schifosissimo essere, hai distrutto tutto quello che in me c’era di buono e innocente. Non solo non voglio vederti mai più, ma pregherò Iddio che la faccia pagare cara a te e a quel maiale che ti sei scelto per turpe compagno, affinché mi sia misero e penoso sapere che soffri anche un decimo di quello che sto soffrendo io adesso.

Verlaine, sempre a terra, dopo lo schiaffo ricevuto s’è raggomitolato su sé stesso e non ostenta più la boria e il disprezzo che aveva prima. La reazione della moglie – evidentemente inaspettata – lo ha più che sorpreso, intimorito. Lentamente la luce si spegne su questo quadro e si accende sui pensionati e la vecchia Mathilde.

M.Me de FLEURVILLE: Quella rivelazione mi aveva folgorato. Mi accorsi che in quei giorni avevo pensato tutto. Avevo sviscerato e analizzato qualsiasi possibilità, ma la più fervida fantasia non si era spinta fino a quel punto. Ora che ci penso non avrei nemmeno potuto. A quel tempo credo che nemmeno sapessi cosa fosse l’omosessualità, nè tantomeno se ne era parlato in casa, anche genericamente.

1° SIGNORE: Beh, non sono certo argomenti che un padre può proporre alla propria figliola. Non potete farvene un cruccio signora.

2° SIGNORE: Una bella tragedia. Io non so proprio come avrei reagito.

M.Me de FLEURVILLE: Non lo sapevo nemmeno io. Paul se ne andò. Mi fece pervenire un biglietto nel quale diceva “Mia povera Mathilde, non essere triste, non piangere. Ho fatto un cattivo sogno. Tornerò, un giorno”. Quel biglietto veniva da Bruxelles dove era scappato con Arthur Rimabud. Con la pubblicità che avevano seminato, la loro relazione non poteva continuare a Parigi. Seppi poi che Verlaine era tormentato continuamente dal rimorso e voleva tornare a Parigi. Poi a tratti quando prevaleva l’anima malvagia di Rimbaud, si rallegrava e si compiaceva d’avermi abbandonato credendo d’aver compiuto un atto di coraggio che solo i grandi artisti sanno fare.

3° SIGNORE: Ma voi non tentaste mai di dissuaderlo?

M.Me de FLEURVILLE: Fui sollecitata e pregata di comprendere e perdonare quella che a lui era sembrata poco più di una ragazzata. Se non altro per il piccolo Georges. Oltre i parenti ed in special modo la madre di Paul, che ricevette il più grande dolore della sua vita, molti amici mi sollecitarono ad un intervento diretto presso mio marito. Credo che fosse Paul stesso – probabilmente di nascosto da Rimbaud, per non contrariarlo – a mettersi in contatto con loro per sapere mie notizie e le mie reazioni. Fui molto grata di ricevere una bellissima lettera dal grande Victor Hugo che mi confortò. Andai dunque.

3° SIGNORE: Dopo quello che era successo avevate ancora voglia di riprendervi vostro marito? M.Me de FLEURVILLE: Tentai. Non per amore, ma per affetto. Mi convinsero che Paul avrebbe fatto una brutta fine con Rimbaud e che non era in grado di rendersene conto. Partimmo per Bruxelles io e mia madre preceduti da una lettera. Paul ci accolse e in un momento di serenità acconsentì a ritornare con noi a Parigi, lasciando Rimabud al suo destino. Ci mandò alla stazione dicendo che avrebbe radunato le sue cose e ci avrebbe là raggiunte. Purtroppo in quell’intervallo vide Rimabud e con lui si andò ad ubriacare. Quando arrivò alla stazione montò con noi sul treno senza dire una parola e si addormentò. Io credevo che l’avventura fosse davvero finita, ma arrivati alla frontiera e sbrigate le formalità doganali ci fu impossibile ritrovarlo. Il treno stava appena ripartendo quando dal finestrino lo vedemmo che ci stava salutando. Aveva deciso di tornare indietro. Fu l’ultima volta che lo vidi.

1° SIGNORE: E voi rimaneste così, senza fare nulla?

M.Me de FLEURVILLE: Cos’altro avrei potuto fare? Ero stanca e sfinita. Se quello era il mio destino, non potevo più oppormici.

2° SIGNORE: E di Rimbaud, che ne fu?

M.Me de FLEURVILLE: Proseguì a Londra la sua disgraziata unione con Verlaine. Litigavano spesso. Durante una di queste liti, Paul esasperato gli sparò contro un colpo di pistola ferendolo leggermente. Ci fu un processo e Verlaine venne riconosciuto colpevole. Durante il dibattimento l’accusa mise in assoluta evidenza il rapporto contro natura esistente tra i due e la corte fu particolarmente severa: due anni di prigione. Mio padre si avvalse della sentenza per promuovere ed ottenere il divorzio. Io non ebbi più alcun contatto con lui…

1° SIGNORE: Anche Rimbaud lo abbandonò…

M.Me de FLEURVILLE: Si. Quell’insano legame non lo aveva mai particolarmente attratto. Si accompagnò con Paul per trarne profitto materiale ed economico. L’episodio del suo ferimento gli fece capire che era giunto il tempo della loro separazione. Non credo che avesse mai avuto il sacro fuoco dell’arte. Aveva piuttosto scelto la poesia per manifestare la sua diversità dal mondo e dalle convenzioni borghesi. Era e rimaneva un essere prevalentemente materiale e calcolatore, tutto il contrario di Verlaine.

2° SIGNORE: Infatti subito dopo partì per l’Africa e divenne un mercante di schiavi.

M.Me de FLEURVILLE: Si. Divenne un commerciante e fece anche traffico di schiavi. Avevo ragione: a soli 21 anni smise di dedicarsi alla poesia e non scrisse più alcun verso. Credo che Verlaine ne fosse addolorato. Fui sorpresa, ma non più di tanto, di leggere la poesia di mio marito scritta non appena giunse la notizia della sua morte. È struggente, ma profondamente bella. Indegna di quello sciagurato…

Le luci si abbassano. Compare al centro del proscenio Verlaine invecchiato. Tutto il palcoscenico è in luce soffusa. Verlaine comincia a declamare i versi mentre a lato una luce illumina il giovane Rimbaud.

 …Vi dicono morto, voi.
Che il diavolo Si porti con chi la porta
La notizia irrimediabile Che viene a bussare così alla mia porta!
Non ci voglio credere. Morto, voi
Tu, dio tra i semidei!
Coloro che lo dicono sono folli.
Morto, il mio gran peccato radioso,
tutto quel passato che ancora brucia nelle mie vene e nella mia testa
e che splende e folgora sul mio fervore sempre nuovo!
Morto tutto quel trionfo inaudito
Che risuonava senza freno né fine
Sull’arietta mai svanita
Battuta dal mio cuore che fu divino!
Ma come, il prodigioso poema
E la tutta-filosofia
E la mia patria e la mia boheme
Morti?
Andiamo! Tu vivi la mia vita!

Le luci si abbassano e quella che illumina Rimbaud si stringe sempre di più fino a sparire quando Verlaine termina di declamare. Sipario.

FINE  

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