Un’arma nel cuore di un vero servitore dello Stato

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Avvincente e pieno di umanità il libro di Angelo Jannone ex infiltrato nei narcos

Un’arma nel cuore, ma perché questo titolo? Perché “un’arma”? Ce ne sono altre? Leggendo il libro sono giunto ad una personalissima interpretazione: l’Arma dei Carabinieri non è un concetto oggettivo, ma del tutto soggettivo. C’è L’Arma che conta, dei dirigenti, dei burocrati, dei manager di palazzo e poi c’è l’Arma vera, investigativa, territoriale, quella che contrasta la criminalità al fianco del cittadino. Angelo racconta l’Arma vera. E lo fa proiettandoci nelle sue storie sbirresche facendoci vivere le emozioni dei protagonisti, soffrire e gioire con loro. Si percepisce l’odore pungente delle sigarette e il gusto dei troppi caffè ingurgitati avidamente dagli investigatori. E di quel caffè se ne assimilano le proprietà tanto da rimanere svegli per leggere ancora un altro capitolo e un altro ancora. E’ un autobiografia dove l’autore mette a nudo la sua esistenza senza celare dubbi, errori, debolezze, inquietudini. Una vita dove l’unica compagna è la malinconica solitudine. E’ un caleidoscopio di multipli brandelli di vita, da Roma a Corleone, dai mafiosi ai narcos colombiani, fino all’addio alle armi per transitare nella dirigenza Telecom, che forma immagini asimmetriche, imprevedibili, ma sempre sublimi. E’ uno spaccato della storia dell’Arma degli anni 80 – 90. Purtroppo la preistoria. Oggi paiono racconti antidiluviani, dove gli investigatori compensavano l’assenza di tecnologia con la passione e la creatività, aggirando insensate regole formali. Pronti a rischiare non solo la vita ma anche la maledetta carriera. Una vita di caserma dove tutto sapeva di famiglia. Come paiono diversi quei Carabinieri da quelli che oggi calcano strade sempre più impazzite. Uomini soli, annichiliti, vulnerabili, paralizzati dal terrore di finire nel tritacarne giudiziario. Abbandonati a loro stessi da tanti, troppi, comandanti che giustificano la loro codarda inefficienza con un saggio buon senso da carrierista. Un’arma nel cuore è un capolavoro letterario che suscita un melanconico amarcord in chi in quei decenni ha combattuto e sconfitto nemici dello Stato che parevano invincibili. Ma non è la nostalgia a farci immergere nelle pagine intrise di intensa umanità e sconosciute verità. Anzi questo libro dovrebbe essere letto soprattutto dai vertici dell’Arma, sì proprio dall’Arma “che conta”, da quei gallonati generaloni che hanno raggiunto le agognate posizioni apicali proprio tenendosi prudentemente distanti anni luce dalla polizia giudiziaria. Ebbene, se costoro si chiedono quale motivo si celi dietro i suicidi e la galoppante demotivazione, è proprio in questo libro che troveranno la risposta. Perché se è pur vero che l’arrogante supponenza dei magistrati terrorizza gli operatori, che ogni intervento operativo si svolge sotto l’occhio ipocrita e maligno di mille cellulari spianati, che microspie e microtelecamere hanno sostituito l’apporto confidenziale, nulla potrà mai sostituire quel saldo e caldo spirito di corpo che legava indissolubilmente i Carabinieri in quegli anni. Ed è quello che va disseppellito dalle coltri di vile, freddo e cinico opportunismo.

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