Vittorio Sgarbi: “La politica in Italia? Gente che ruba nei cimiteri!”

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Oggi compie 70 anni il mitico  Vittorio Sgarbi, l’inarrestabile animatore culturale più folle e sincero della scena politica italiana. Festeggia su una grande nave che sul Po transiterà per la sua Ferrara con oltre 200 invitati. Il re delle risse in tv (l’ultima con Mughini è stata un remake comunque divertente nel mortorio generale), dice che Carmelo Bene e Pasolini lo hanno influenzato ed è pronto all’ennesima campagna elettorale con il suo movimento Rinascimento. Con noi di CulturaIdentità il Vittorio Nazionale collabora spesso, tanto che lo avremo alle V edizione del nostro Festival a Senigallia; ma per omaggiare i suoi 70 anni politicamente scorretti vi proponiamo un’intervista cult che gli feci 8 anni fa, quando definì la classe politica italiana “ladri che rubano al cimitero”, ispirandosi ad un famoso quadro di Magnasco. Tanti auguri Vittorio! Sempre al fianco delle tue pazzie

Mi racconti una episodio alla Sgarbi dell’inizio della tua carriera?

Era il 12 dicembre del 1974, il giorno della mia laurea in Filosofia. Avevo tutti 30 e lode e avevo fatto una tesi in Storia dell’Arte su Giovanni Buonconsiglio detto ‘il Marescalco’, pittore di fine ’400, inizio ’500. Tutto era buono, corretto, guardato con una certa attenzione dal relatore. Il giorno della discussione della tesi incontro la correlatrice, Anna Ottani Cavina, che dice addirittura che la tesi era precisa, minuziosa nelle date, quindi tutto tranquillo. Comincio la discussione, spiegando tutto quello che avevo fatto e vengo interrotto proprio dal relatore, che comincia a fare una serie di rilievi, di critiche, rincalzate proprio dalla Ottani Cavina! Preso tra due fuochi, non reagisco con bonomia e la discussione finisce in un incidente violentissimo, il relatore mi aggredisce, io rispondo… vengo pregato di uscire e quando rientro il Presidente della Commissione, Luciano Anceschi, mi conferma il 110 e lode!

Insomma il battesimo con la laurea?

Avevo cominciato ancora prima, con il mio primo esame, che era di italiano. Un mio bravo professore, Walter Moretti, osò dare a me, che avevo sempre preso 9 o 10 nei temi, un 6– o 5½ in un tema su Giambattista Vico che avevo articolato molto bene; il fatto era che non aveva letto bene la mia calligrafia! Arrivammo all’esame, era il 1970, gli feci una sceneggiata rifiutando il voto e dicendogli che doveva imparare a leggere! Era molto timido, rimase molto turbato, ma ammise che aveva torto e mi diede 30 e lode. Il mio primo 30 e lode l’ho conquistato con la lotta e con la violenza dialettica, sostenendo che il voto basso – per me irricevibile, come le critiche alla tesi di laurea – era determinato dal fatto che non aveva letto bene la mia calligrafia e non poteva non riconoscere la bontà di alcuni collegamenti che avevo fatto e che mi sembravano degni di molta attenzione. Rivendicai, allora diciottenne, la mia dignità letteraria e la capacità di affrontare un tema come quello senza essere guardato come uno che lo affrontava in maniera insufficiente.

E di quelle meraviglie d’Italia, di cui parli nel tuo libro “Il Tesoro d’Italia”, la lunga avventura dell’arte?

Quello è un libro fondamentale, non tanto rispetto alle novità, perché non c’è alcuna novità sostanziale, che comunque destino a una rubrica su Sette del Corriere della Sera, in cui presento ogni settimana un’opera sconosciuta di un autore sconosciuto, opere interessanti trovate in luoghi nascosti o in depositi o scoperti nella ricerca di mercanti d’arte, ma degne di interesse. Questo è il divertimento sommo del mio lavoro. “Il Tesoro d’Italia” è invece la rappresentazione di quello che c’è davanti agli occhi di tutti, ma che è largamente ignorato, se non dagli studiosi. Gli argomenti sono organizzati secondo lo schema dei libri di testo di Storia dell’Arte, con la differenza che i libri di scuola sono generalmente freddi e meccanici nel presentare una Storia che sembra obbligatoria per come è costruita. Invece gli stessi temi, che rappresentano un tesoro che tutti dovrebbero conoscere, sono affrontati da me in una dimensione letteraria, o evocativa, o di racconto, in un ‘libro di testo’ per adulti che hanno finito le scuole. Come alla musica si arriva per desiderio, per scelta, la Storia dell’Arte si raggiunge quando a un certo punto, prendendo le guide del Touring, si comincia il giro d’Italia e ci si accorge dei grandi capolavori. “Il Tesoro d’Italia” è un ‘libro di testo’ per un ideale viaggiatore che ha dai 25-30 anni in avanti e che può godere delle emozioni che le opere d’Arte danno. Esiste la possibilità di raccontare l’arte attraverso le suggestioni, le emozioni e il piacere che essa trasmette. Nel suo bellissimo libro “L’uovo di Marx” Flaiano proponeva una soluzione per riuscire a frenare l’ondata montante del Comunismo, che dilagava nel mondo degli intellettuali e della scuola: renderlo materia scolastica obbligatoria, così le persone appena uscite da scuola non avrebbero più voluto sentirne parlare! Il mio libro sottende inoltre il concetto di economia legata all’arte: l’Europa ha proposto, tra i tanti limiti, delle quote – di patate, di arance, di latte – e ogni Paese deve limitare la produzione in rapporto agli altri. Le ‘quote d’arte’, essendo un presente già maturato e prodotto, non possono essere limitate, perché solo a Modena ci sono più opere d’arte che in tutta la Germania. Questo ci rende ricchi senza soggiacere al ricatto delle quote che dovrebbero limitare la quantità di bellezza, che in Italia è soverchia e quindi è un tesoro che altri non hanno. Dal punto di vista patrimoniale abbiamo una sconfinata ricchezza, il problema è di vederla e conoscerla, perché è nascosta, occulta, privata.

Quanto è importante oggi l’entrata del privato nel mondo artistico e culturale e dell’intrattenimento culturale italiano?

Lo Stato dovrebbe essere l’insieme dei beni che lo Stato possiede e degli interventi economici. Il privato, quando interviene attraverso finanziamenti e contributi per il bene pubblico, fa qualcosa non per sé ma per tutti, quindi il privato diventa Stato e il suo contributo deve essere accolto a cuore aperto. Da questo deriva che lo Stato non è l’articolazione delle diverse proprietà, ma la coscienza del bene: chi ha coscienza del bene rappresenta lo Stato perché assume su di sé la tutela, quindi se una Fondazione o qualunque ente privato contribuisce al bene pubblico, diventa Stato. Lo dice il concetto che è implicito nella parola ‘privato’, che significa ‘ciò di cui siamo privi’: siamo ‘privi’ di molti beni pubblici, spesso nascosti, chiusi, mal gestiti. Il Museo Guggengheim di Venezia, la più importante raccolta di arte contemporanea in Italia, la più visitata e quindi la più pubblica, è un museo privato americano, eppure funziona meglio dei musei pubblici! Nel concetto di ‘pubblico’ e ‘privato’ c’è l’equivoco della ‘proprietà’ del bene rispetto alla ‘coscienza’ del bene: chi ha la coscienza del bene agisce conseguentemente, fa il bene di tutti e quindi si fa Stato. Se una Fondazione, o qualunque attività privata, riesce a ottenere il risultato di rispondere alle esigenze dei cittadini, in quel momento essa è lo Stato, mentre lo Stato, con la sua negligenza rispetto a molti interventi e a molti luoghi, diventa privato, ovvero qualcuno che egoisticamente impedisce la conoscenza e il godimento dei beni a tutti.

Perché nessun Presidente del Consiglio ti ha mai nominato Ministro?

Mi hanno nominato Sottosegretario, dopodiché ho fatto il Vice Ministro, dopo un anno mi hanno rimosso, per ragioni politiche o ragioni personali. Berlusconi era una speranza politica non perché fosse bravo o avesse dei meriti, ma perché era fuori dall’establishment. Quello che nessuno ha capito è che in Italia la contrapposizione non è tra destra e sinistra, ma tra poteri consolidati e libertà. Il Popolo della Libertà ha indicato e stabilito la possibilità di gestire il bene pubblico senza raccomandazioni, lobby, iscrizioni al partito. Purtroppo Berlusconi non ci è riuscito, è fallito il tentativo di creare un potere alternativo a quello consolidato dei partiti, dei sindacati, delle organizzazioni. In quella dimensione io potevo diventare Ministro – e non lo sono diventato – perché sono fuori da ogni potere organizzato, da ogni protezione, tutela o garanzia legata alle tessere dei partiti.

Se dovessi rappresentare l’Italia politica di oggi con un quadro italiano?

Nessuna opera italiana è così indegna da rappresentare un paesaggio di rovina e disperazione. La rappresenterei con un quadro di Magnasco che rappresenta un furto al cimitero, della gente che ruba nei cimiteri e il diavolo che viene per portarli via. (n.d.r. visioni profetiche di un intellettuale libero)

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4 Commenti

  1. Infatti Sgarbi e’ il tipico esempio di politico che ruba nei cimiteri: una carriera basata sulla zuffa e sulle parolacce.E ha anche il coragio di parlare! Povera Italia!

  2. Sgarbi, cominci ad essermi simpatico, prò, perchè la gente si svegli, devi continuare ad essere più piccante, con queste SORCHE da FOFNA!!!

  3. se tutto il bene pubblico diventa privato i casi sono due, o si arriva al periodo del socialismo reale dove il privato era pubblico; o si sta in questo nulla dove dire “pubblico” significa tirannia, dittatura, sopruso e comunismo… non mi pare il caso di perorare le ragioni di questi due casi anche se simpatizzare per uno dei due e’ oggi doveroso oltre ogni dire. Basti solo ricordare come la critica occidentale considera le opere del socialismo reale e come invece “premia” le opere di Shostakovic che entro’ a far parte del suddetto solo obtorto collo e distruggendone le premesse con discutibili soluzioni artistiche. Cosi’ crollo’ l’Unione Sovietica…

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