A sette anni dal primo dei terremoti che tra agosto e gennaio 2017 hanno colpito l’Italia Centrale, possiamo dire che a livello di prevenzione del territorio, per mettere in sicurezza il nostro Paese è stato fatto ben poco e di ricostruzione, nelle zone colpite, ancora meno con una sempre più oppressione burocratica.
Il vero problema è che nei comuni italiani si pianifica sempre meno, e anche se si fa, si fa male e con scopi esclusivamente speculativi. La pianificazione, una volta fiore ad occhiello per lo sviluppo delle città da parte degli urbanisti, è diventata nel corso degli anni solo un complesso di norme burocratiche. I piani attuativi accompagnati da una rapida ricostruzione possono contribuire ad innalzare il sistema della sicurezza ad esempio con specifici interventi di vie di fuga e ristrutturazione edilizia e urbanistica, in grado in particolare di procedere con un miglioramento sismico degli edifici.
Un attenzione particolare bisogna darla anche al patrimonio architettonico e artistico del nostro Paese, non dimentichiamo i diversi luoghi di culto colpiti dalle ondata di scosse tra il 2016 e 2017 e in molti casi, in stato di abbandono.
Come più volte detto, investire sulla pianificazione urbanistica e territoriale permette oltre di unire e attuare contestualmente politiche che si occupano delle relazioni materiali (la difesa dei suoli, la sicurezza degli edifici, la stabilità degli spazi urbani) di superare anche quelle immateriali (culturali, sociali ed economiche). Basti pensare che Robert Geipel (fondatore della geografia educativa) diceva che “la popolazione, dopo i pochi terribili minuti del sisma, ha un solo desiderio e cioè riavere la Città e il Territorio precedenti per riuscire a rimuovere il trauma e rimpossessarsi della propria quotidianità”.
Ecco perché plaudiamo alle parole del Primo Ministro Giorgia Meloni, che propria per l’anniversario dei sette anni ha dichiarato “Il nostro dovere è sostenere questo percorso di rinascita sociale ed economica con risposte concrete e interventi efficaci. Perché ricostruire i territori colpiti dal terremoto non è solo un obbligo morale delle Istituzioni, ma può rappresentare anche uno straordinario volano per l’economia nazionale. Una sfida enorme ma che, tutti insieme, possiamo vincere”.
Nel Manifesto delle Citta Identitarie sottoscritto ad ottobre 2020, alla voce ricostruzione si legge “Il recupero dell’abitabilità dell’Italia profonda passa anche e soprattutto, infine, per la ricostruzione post-terremoto delle aree colpite negli ultimi anni da simili calamità e, più in generale, dalla capacità di indirizzare una parte cospicua degli investimenti pubblici e privati nella prevenzione dei danni sismici e di quelli indotti dal dissesto idrogeologico. C’è un immenso lavoro da mettere in campo in questo senso, un’azione che interesserà almeno due generazioni. L’economia green di cui tanto si parla e a cui sono legate le risorse del Recovery Fund vanno indirizzate in questa direzione”.
Le basi ci sono, adesso dalle parole bisogna passare ai fatti, il Paese ha bisogno per il proprio territorio di una attenta prevenzione e una spedita ricostruzione, anche per non dimenticare le 299 vittime del 2016.
Chiediamo a Elly Schlein che cosa ha fatto il governo di sinistra (PD) nell’ultimo decennio