Miseria e Disperazione. Questo il futuro che si prospetta per i giovani nel nostro paese. Secondo i dati Istat il numero di inattivi italiani sotto i 35 anni supera ormai i 6,3 milioni. Non meglio neanche per ciò che riguarda la disoccupazione che è aumentata nell’ ultimo trimestre di 435mila unità fra gli under 35 arrivando a colpire il 32% della medesima fascia d’ età. Ma non è tutto infatti i nati dopo il 1986 hanno il reddito pro capite più basso (inferiore a 30mila euro l’anno) e si qualificano come generazione più povera della storia d’Italia: un triste primato dovuto a stipendi inferiori dell’11% rispetto alla media nazionale con una situazione che non potrà che peggiorare in seguito alla crisi pandemica. Ma anche i giovani lavoratori fra i 18 e i 29 anni non hanno di che sorridere essendo infatti meno tutelati, meno retribuiti e meno soddisfatti della propria occupazione rispetto alle generazioni precedenti. Anche in una situazione pandemica che li vede vulnerabili sono però gli over 65 a detenere la maggior parte della ricchezza, non riuscendo però a trasferirla da una generazione all’ altra. Un’ immobilità sociale che impedisce ad un giovane di migliorare le proprie condizioni economiche durante la propria vita. A pagare leggermente di più saranno, come sempre, le donne, costrette a subire anche in questo trimestre un leggero calo del numero delle occupate rispetto alla controparte maschile. A ciò si aggiunge l’incertezza sul sistema contributivo per i neo-lavoratori che non sanno se e quando otterranno mai un assegno pensionistico. Miseria, incertezza e disperazione: tre parole chiave per comprendere il futuro di una generazione. Alla luce degli esiti disastrosi delle politiche fin qui applicate viene dunque spontaneo chiedersi come mai lo stato si faccia trovare in cosi grande difficoltà nel garantire ai propri cittadini un’occupazione ed un futuro prospero. A mancare è stata la visione complessiva nonché una pianificazione a lungo termine. I vari governi, di qualsiasi orientamento politico, non hanno mai avuto il coraggio né di adottare misure prettamente socialiste/keynesiane né si è mai avuta la tanto decantata “rivoluzione liberale”, volta a ridurre la tassazione sul ceto medio e facilitare l’iniziativa imprenditoriale. Si è preferito invece adottare riforme “né carne né pesce” che non accontentano nessuno, ma scontentano tutti: bonus una tantum, sussidi di disoccupazione, mancette, defiscalizzazioni imparziali o con scarsa incidenza sull’ economia nazionale nel suo complesso. Una classe politica ignava e incapace di qualsiasi decisione programmatica sta condannando il sistema produttivo al collasso totale. Durante la crisi pandemica ogni minuto perso sta però costando 80.000 Euro di nuovo debito sulle nostre spalle, è giunta l’ora delle decisioni irrevocabili.
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