Ci stanno mettendo l’uno contro l’altro, svegliamoci

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Un’intera conferenza stampa senza neanche abbassare la mascherina per riprendere fiato. Giuseppe Conte presenta l’ultima ondata di dpcm in una veste paradossalmente inedita, perché neanche in piena Fase Uno aveva sfoggiato in maniera così risoluta lo strumento totem della battaglia al Covid 19. Negli annali resteranno semmai le uscite pubbliche d’inizio emergenza, quando si presentò ai giornalisti con il maglione «alla Guido Bertolaso». Una scelta comunicativa che pagò cara, perché ritenuta eccessivamente allarmista.

Oggi il contesto è cambiato. Il mondo è diviso in due, tra presidenti buoni e presidenti cattivi. La performance di Giuseppe Conte fa da contraltare all’immagine di Donald Trump che arringa la folla togliendosi la mascherina in segno di vittoria sul Coronavirus. Due stili differenti, nessuno immune da critiche. Ma anche modalità totalmente differenti di governare la medesima crisi e suscitare risposte diametralmente opposte.

Pietrangelo Buttafuoco ha colto il messaggio del presidente americano: «Trump non è la mia tazza di te, come dicono gli inglesi per indicare che “non è roba per me” – ha detto – Tuttavia la sua frase “non abbiate paura”, pronunciata dopo aver affrontato il Covid, ha una forza quasi evangelica. Ricorda il messaggio analogo di Giovanni Paolo II, e contiene l’invito a un’azione spirituale dirompente, cancellata dalla pandemia: quella del bacio al lebbroso. Quanto all’esito delle elezioni, occhio: chi dà Biden trionfatore mi ricorda quelli che giuravano che l’Emilia Romagna sarebbe passata alla Lega».

In Italia, invece, sembrano assai lontani i giorni in cui tifavamo per medici e infermieri, eleggendoli a eroi nazionali. C’è stato un momento dove ci siamo aggrappati disperatamente alla loro professionalità, ma soprattutto alla loro etica combattente. Nessuno in quei giorni grigi è venuto in mente di menarli come troppo spesso è successo vergognosamente all’interno dei nostri ospedali.

Abbiamo puntato su di un altro registro, più civile. Ci siamo dati coraggio pregando per loro, per la buona riuscita della loro missione in prima linea. Durante la Fase Uno, più volte sono state tirare in ballo parole d’ordine dal lessico bellico. «Siamo in guerra». «Vinceremo!». Alessandro Barbero, che di storia militare se ne intende, ci ha spiegato che è tutto normale. Ci sta tutta che, quando la faccenda si fa critica, si rispolvera un armamentario anche linguistico utile prima a resistere per poi andare a sfondare le linee nemiche.

Che è successo poi? Che è stata la paura a prevalere. I numeri della Fase Due (o Tre) sembrano totalmente diversi rispetto ai mesi di marzo e aprile, soprattutto guardando le caselle dei decessi, dei ricoveri e degli accessi in terapia intensiva. Certo, ancora devono arrivare i mesi più freddi, intanto però l’ansia è alle stelle. Un’ansia che rasenta l’odio. E che si scaglia contro chiunque non viva alla stessa maniera la fobia da pandemia. Un sentimento che si muove peraltro secondo direttrici politiche ben precise.

Fa male dirlo, ma è così. Essendoci al governo la sinistra (o qualcosa che le somiglia tanto), avviene che grillini e progressisti sposino a scatola chiusa le scelte dell’esecutivo. Anche quando queste mettono tra parentesi molte delle libertà ritenute un tempo inviolabili. Proprio loro che da sempre hanno il vizio di pungolare l’altro e additare l’avversario. Insomma, se tacciono vuol dire che acconsentono.

Mentre Giuseppe Conte giura di non volerlo fare nuovamente, a marzo ha sposato la ricetta del lockdown totale. Una scelta utile a calmierare i numeri del contagio, ma che ha depresso economicamente tutto il sistema paese, tanto da ricorrere ad una richiesta di aiuti massicci da parte dell’Europa (il Recovery fund) per arginare gli effetti sociali del Covid 19. Ma la crisi potrebbe comunque arrivare.

Il paese è spaventato perché i vertici istituzionali hanno caldeggiato la comunicazione della preoccupazione costante, fino a evocare il senso di colpa per i divertimenti estivi. Il cortocircuito sul numero di persone da invitare a casa o la richiesta sibillina di ricorrere ai delatori per individuare i possibili trasgressori, ci dicono tantissimo su questa fase storica paludosa. Siamo passati da un odio a un altro, ma non ce ne stiamo accorgendo. Altro che fratellanza, quotidianamente viviamo atti d’intolleranza ed egoismo che vanno contro le più banali regole di convivenza umana. Dalla fila alla posta, alla metropolitana. Tutti contro tutti. Tutti fobici. Tutti schifiltosi. E meno male che appena qualche mese fa tifavamo per i nostri uomini in camice.

Insomma, sarebbe servito un approccio diverso, uno stile comunicativo diverso. Non per forza quello di Trump, troppo distante dalle coordinate nostrane. Ma almeno un leader (presumibilmente eletto) capace di richiamare gli italiani al senso di responsabilità, per puntare con coraggio alla tenuta di questo Paese. Uno che chiedesse sì sacrifici, ma non di rinunciare al lavoro. Quando un pugile o un rugbista indossa il paradenti non lo fa per paura. Lo fa per raggiungere l’obiettivo. Con lo stesso spirito (e le giuste regole, per carità), bisogna consegnare alle generazione future l’immagine di un’Italia che ha preferito non fermarsi, magari rischiando, senza però cedere a paure, sciatterie o isterismi.

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3 Commenti

    • Sono assolutamente d’accordo. Politicamente abbiamo tutto il peggio (compreso il PdR) che si potesse immaginare, da decenni….; e sarà difficile liberarsene!

  1. Nessuno che abbia il coraggio di dire chiaramente che i provvedimenti per la salute pubblica adottati dal governo sono da criminali, comprese mascherine e distanziamenti sociali.

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