Una Tripoli preda di bande, milizie, turchi e islamisti, flagellata da attentati e scorrerie di uomini armati. E’ questo lo scenario in cui è ambientato il film russo Shugaley, già disponibile su YouTube in una versione in lingua inglese, diretto da Denis Neimand.
Lo sfondo è un paese bello e martoriato, con le distese di sabbia del deserto da un lato e l’azzurro del Mediterraneo dall’altro: in mezzo Tripoli, i villaggi arabi e berberi, la sofferenza di una popolazione per sua natura gentile e ospitale, ma preda oramai dal 2011, l’anno in cui fu rovesciato Muammar Gheddafi, di una guerra civile combattuta senza esclusione di colpi e soprattutto attraverso gruppi militari sempre più aggressivi ed efferati.
Shugaley è un film tratto da una storia vera, attualmente in corso: racconta infatti la vicenda del sociologo russo Maxim Shugaley e del suo traduttore Samer Sweifan, tratti in arresto dagli uomini della milizia salafita “Rada”, legata al ministro degli Interni del Governo di Accordo Nazionale (GNA), guidato da Fayez al Sarraj, e tuttora detenuti in una prigione situata nell’aeroporto di Mitiga, nei pressi della Capitale.
Il lungometraggio si apre con le immagini del protagonista che incontra Saif al-Islam, il figlio di Gheddafi, a Zitan. Ufficialmente la sorte del più importante (sotto il profilo politico) tra i figli del raìs resta un mistero, ma nel film egli viene rappresentato come attivo e pronto a ritornare sulla scena. Sono, anzi, proprio i dati raccolti dall’équipe di sociologi russi guidata da Shugaley che risulteranno fatali per i due uomini che poco dopo saranno fatti prigionieri.
La loro indagine demoscopica ha infatti appurato che il GNA, nonostante sia il governo ufficialmente riconosciuto dalla Comunità Internazionale sulla base dell’accordo di Skhirat, è inviso alla stragrande maggioranza dei libici, anche in Tripolitania, dove la devozione per il Colonnello e i suoi eredi non sembra essere scemata dopo anni di guerra civile. Proprio per evitare la divulgazione di questi dati, Shugaley e Sweifan vengono rapiti e segregati a Mitiga, dove i detenuti, tutti per motivi politici, vengono torturati e trattati come bestie dai miliziani islamisti.
Il racconto della missione e poi della segregazione non si limita alle classiche scene d’azione o alla rappresentazione dei violenti maltrattamenti cui sono sottoposti i prigionieri, ma descrive, con nomi e cognomi, le manovre politiche e la guerra di spie di cui Tripoli è l’epicentro: sullo schermo compaiono al Sarraj e gli uomini del suo governo, i Fratelli Musulmani che lo sostengono e lo usano come un fantoccio, i capi delle milizie e il loro fanatismo islamista, i russi impegnati nel tentativo di salvare i loro uomini, i turchi alleati del GNA e infine il generale Khalifa Haftar che controlla Bengazi e la Libia orientale, intrattiene rapporti con Mosca ed è il principale avversario sul campo di al Sarraj.
Il film, dunque, si propone anche come un documento, certo orientato da una prospettiva delle cose marcatamente russa, sulla situazione politica e geopolitica in cui versa la Libia negli ultimi anni. E colpisce, in questo senso, la totale assenza dell’Italia e dei suoi uomini tradizionalmente impegnati in quello scenario: fino a pochi anni fa sarebbe risultato difficile concepire una spy story ambientata in Libia che non inserisse gli italiani tra i protagonisti.
I principali antagonisti dei russi, invece – i cui rapporti (nonché le simpatie) verso il clan di Gheddafi, oltre alla vicinanza all’Esercito di Liberazione Nazionale di Haftar, sono ampiamente documentati – sono proprio i turchi, i quali ormai, come dimostra la recente liberazione di Silvia Romano in Somalia, sembrano aver completamente soppiantato Roma nella capacità di influenza sulle ex colonie italiane.
In conclusione, Shugaley è un film molto interessante, per la storia dei due protagonisti, ma anche per la descrizione del contesto in cui essa si svolge: dopo 13 Hours: The Secret Soldiers of Benghazi prodotto da Michael Bay e dedicato all’attacco terroristico contro il consolato americano di Bengasi, che ebbe luogo l’11 settembre 2012 e in cui rimase ucciso l’ambasciatore USA in Libia John Christopher Stevens, si tratta infatti del secondo film dedicato alla Libia del dopo-Gheddafi.