Riportiamo il cinema in Lombardia per far ripartire la locomotiva d’Italia

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Camilla Ferranti, una laurea in Scienze Politiche conseguita a La Sapienza di Roma e un diploma in balletto classico. Due palestre che ha amato in maniera differente: poco la prima, enormemente la seconda, ma che le hanno entrambe dato molto, come cultura e dedizione. Da buon Ariete, Camilla è caparbia e volitiva, pronta a rimettersi in discussione in un momento delicato per la sua professione e per il cinema in generale.

Camilla, come hai vissuto il lockdown, che ha inferto un duro colpo a tutta l’industria cinematografica?

Quello dell’attore è un mestiere e, come qualsiasi tipo di mestiere artistico, è altalenante e senza certezze: nel momento in cui lo sposi sai bene o male a cosa vai incontro. Il lockdown mi ha dato sicuramente un bello schiaffo, ma questo è stato parte anche di un percorso di maturità. Quando arrivi intorno ai 40 anni fai un po’ il bilancio della tua vita in una forma più matura. Io ho avuto in molti momenti paura per la totale incertezza del futuro, ma dalla paura ho capito che in qualche modo dovevo ripartite: e sono ripartita mettendomi in discussione, chiedendomi se l’attrice fosse davvero quello che volevo continuare a fare. Insomma, ho valutato con me stessa e con onestà tutte quelle motivazioni che sono alla base dei sacrifici che il mestiere di attore richiede.

Hai concluso che ne valga ancora la pena?

Sì, ma ho fissato dei paletti ben precisi, come per esempio il coraggio di produrre qualcosa che mi piaccia veramente. Sono ripartita da una bella squadra (che ho messo su io stessa) di amici e professionisti incontrati nel corso della mia carriera e con cui mi sarebbe piaciuto lavorare di nuovo. In primis un regista, Matteo Vicino di Bologna, un grande talento con cui ho già lavorato in Young Europe, un progetto sociale per la Polizia di Stato, nato con lo scopo di sensibilizzare i giovani sulla piaga degli incidenti stradali e in Outing- fidanzati per sbaglio. Ora stiamo lavorando a un film con il patrocinio della Regione Lombardia, girato interamente nei territori che sono stati i più flagellati dal Covid-19 e che da sempre sono la locomotiva d’Italia. In questo modo vogliamo promuovere il turismo e lanciare, allo stesso tempo, un messaggio di speranza.

Da dove nasce la tua passione?

Vengo da 30 anni di danza e il mio approccio è di sacrificio, disciplina e ricerca di una costante armonia. Ho applicato questo a una professione dove molti cercano scorciatoie facili. Per me non ci può essere successo senza sacrificio, disciplina e armonia.

Qual è secondo te lo stato di salute del cinema italiano?

Bisognerebbe rivoluzionare un sistema in cui non si osa: si preferisce andare sul sicuro, con la commedia, con i soliti quattro o cinque attori, pensando che la gente automaticamente si presenti al botteghino. Nonostante la pandemia, l’intrattenimento è una cosa che non è mai venuta a mancare, grazie alle varie proposte di piattaforme come Amazon e Netflix, che hanno anche imposto una nuova linea, obbligando in un certo senso a rischiare di più: alla fine è sempre la storia a essere vincente e le storie da raccontare sono tante.

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