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Quel grido, Decima, urlato nella parata militare del 2 giugno e vituperato e attaccato in queste ore sui social dai vari Saviano, Murgia e diversi altri compagni, è il nostro grido. Il grido dell’Italia orgogliosa delle sue eccellenze, memore dei sacrifici fatti per il Paese, grata a chi ha reso possibile (e grande) la storia italiana, rispettosa delle tradizioni, che ama la propria Nazione.
Decima è il motto del GOI, il Gruppo Operativo Incursori Raggruppamento Teseo Tesei (COMSUBIN) e non c’entra con la X Mas della Repubblica Sociale, al comando del capitano Junio Valerio Borghese, ma è la Decima della Marina militare del Regno, che ha operato fino al 1943 e che è il precursore degli incursori di Marina.
Il GOI è intitolato a Teseo Tesei, morto eroicamente nel fallito assalto del 26 luglio 1941 al porto inglese di Malta. Lo stesso vicegovernatore di Malta, sir Edward Jackson, ricordando l’episodio il 4/10/1941 scrisse: “…nel luglio scorso gli italiani hanno condotto un attacco con grande decisione per penetrare nel porto, impiegando MAS (motoscafi armati siluranti) e “siluri umani” armati da “squadre suicide…”.
Oggi i subacquei incursori del GOI sono soldati super-addestrati chiamati alle missioni più delicate (come la risposta alle azioni terroristiche). Sono una delle punte di diamante delle Forze Armate della Repubblica, non della RSI. Per fare polemica bisogna essere ignoranti, cioè aver trascurato la conoscenza di determinate cose che si potrebbero o dovrebbero sapere, o in malafede.
Come per il saluto, sempre alla parata del 2 giugno, di cui si sta parlando tantissimo. Che non è un saluto romano, ma è un saluto militare di marcia, che consiste nell’alzare il braccio destro in modo perpendicolare (in onore al tricolore) per poi farlo scendere sulla tempia per il saluto. E non è un saluto esclusivamente di una truppa della Marina ma di molti corpi di armata. Ignoranza o malafede, oppure sia ignoranza sia malafede.
Come per eia eia alalà. Perché prima di prospettare un grido, oltre che di incitamento, fascista e squadrista, e scandalizzarsi, occorre ricordarsi di Gabriele d’Annunzio: pronunciò eia eia alalà la prima volta nel 1917, al ritorno dal bombardamento di Pola durante la Grande Guerra, l’8 agosto. Si inventò questa formula di esultanza guerriera accorpando due incitamenti di due tragici greci come Eschilo e Pindaro che li avevano usati nella “Fedra” e nella “Nave”. Così quel grido divenne il rituale gioioso di tutti gli aviatori italiani che tornavano da una missione di guerra. E che Mussolini copierà, o meglio, ruberà a d’Annunzio. “Eia, eia alalà” e “Decima” sono la nostra storia, le nostre grida, la nostra Italia. Eia eia alalà, Decima.
Dio vi benedica!