Tra amori e battaglie d’Annunzio ha fatto della sua vita come si fa di un’opera d’arte
Con il suo vivere inimitabile ha sfidato i tempi, seducendo e affascinando un popolo che voleva un Vate e poi si ritrovò un Duce. Poeta, soldato, amatore, Gabriele d’Annunzio ha fatto della sua vita un’opera d’arte lasciando un segno indelebile nella storia d’Italia. Amato e conosciuto anche tra i più giovani, è il poeta italiano più ricercato in rete, solo Dante Alighieri gli tiene testa.
Terzogenito di cinque fratelli, Gabriele d’Annunzio nasce a Pescara il 12 marzo 1863. Il padre fu adottato da uno zio e ne assunse il cognome, d’Annunzio, che trasmise ai figli. Speciale è il rapporto che Gabriele instaura con la madre, un amore unico, quasi mistico: «ella m’aveva fatto a somiglianza d’una immagine velata dell’angelo del mio nome».
È il figlio prediletto, brillante e sensibile, e in famiglia ne intuiscono presto le potenzialità. Dotato di un temperamento ribelle, ma capace nello stesso tempo di applicarsi con rigore agli studi, il giovane Gabriele possiede una mente brillante che fa tutt’uno con la volontà di emergere e primeggiare nella scrittura. Così il padre lo iscrive al prestigioso Collegio Cicognini a Prato.
Nel 1879, quando è ancora solo uno studente che ama la poesia e compone versi, è talmente sicuro di sé, da scomodare Giosue Carducci che in quel momento è il poeta più famoso d’Italia. d’Annunzio ha solo 16 anni quando gli scrive questa lettera: «io mi sento nel cervello una scintilla di genio battagliero, che mi scuote tutte le fibre, e mi mette nell’anima una smania tormentosa di gloria… E voglio combattere al suo fianco, o Poeta!». Ma non basta. D’Annunzio capisce fin da subito il ruolo dei giornali e si finge morto, pubblicando un necrologio sul «Gazzettino letterario» di Firenze per promuovere la sua prima raccolta di poesie, «Primo Vere». Si tratta della prima trovata pubblicitaria della sua vita; ce ne saranno molte altre e tutte ugualmente geniali.
Allo studente abruzzese il piccolo mondo della provincia italiana però va stretto, la strada verso la gloria lo porta a Roma, la Città Eterna, che da un decennio è diventata capitale d’Italia. La scalata alla fama non può che passare per le redazioni dei giornali e i salotti dell’aristocrazia romana dove il poeta seduce le nobildonne. È qui che fa innamorare la duchessina Maria Hardouin d’Altemps che a soli diciannove anni rimane incinta. I due avranno tre figli maschi ma per la duchessina inizierà un calvario amoroso che durerà una vita intera. Il periodo romano sarà di grande ispirazione per comporre il primo grande successo del futuro Vate, «Il Piacere».
Il romanzo è la storia travolgente tra Andrea Sperelli, alter ego dello scrittore, e la sensuale Elena Muti, è una sorta di autobiografia. Il libro esce nel 1889, ed è un trionfo. A Roma d’Annunzio però ha infranto troppi cuori meglio andare a vivere a Napoli dove s’invaghisce di una nobildonna siciliana alle prese con un matrimonio infelice, Maria Gravina. E così mentre il genio poetico gli fa comporre sui tavolini del caffè Gambrinus una delle canzoni napoletane più conosciute al mondo, «À vucchella», mette incinta anche la Gravina dalla quale avrà l’amatissima Renata, detta Cicciuzza, prima illegittima ma che poi sarà la figlia preferita del Vate. Gli amori caratterizzano la prima parte della vita di d’Annunzio ma uno resterà nella storia del costume e del teatro italiano quello con la diva del momento: Eleonora Duse, la Divina. È la storia d’amore più chiacchierata tra fine ‘800 e primi del ‘900 dove s’intrecciano gelosie e passioni, memorabili pagine di teatro e letteratura. Una su tutte «La Pioggia nel pineto» che il poeta dedica nel 1902 alla Divina dopo che un improvviso diluvio li coglie insieme nella magica pineta della Versiliana. Nel 1904 le loro strade si dividono per sempre.
D’Annunzio è costretto a scappare in Francia rincorso dai tanti creditori. La Duse continuerà a recitare in tutti i teatri del mondo, morirà vent’anni dopo durante una tournée in America. Ci saranno tante altre donne nella vita del poeta ma la Duse resterà per sempre al suo fianco in un busto velato che Gabriele terrà fino alla sua morte sulla scrivania del suo studio al Vittoriale degli Italiani. A Parigi il Vate resta per un decennio amato dalla critica francese e coccolato dai salotti intellettuali finché fa il suo ritorno in Italia per spingere il nostro governo ad entrare in guerra. Diventa il poeta dell’interventismo. «Beati quelli che, avendo ieri gridato contro l’evento, accetteranno in silenzio l’alta necessità e non più vorranno essere gli ultimi ma i primi». Sono le parole che il poeta pronuncia, davanti a migliaia di persone, dallo scoglio di Quarto nell’anniversario della spedizione dei Mille. È il 5 maggio 1915, poche settimane dopo l’Italia dichiara guerra all’Austria-Ungheria. D’Annunzio si arruola volontario, chiede e ottiene dal Ministero della Guerra il permesso straordinario di visitare qualunque parte del fronte e partecipare a qualsiasi manovra militare. Compirà due azioni memorabili, la Beffa di Buccari ed il Volo su Vienna, che trasformeranno il poeta più discusso e conosciuto del momento nel Vate degli Italiani. Con Vittorio Veneto, nel novembre 1918, l’Italia vince la guerra ma per d’Annunzio si tratta di una «Vittoria Mutilata».
Parla del tradimento verso le centinaia di migliaia di ragazzi morti in trincea per annettere all’Italia le terre promesse dell’Istria e della Dalmazia. Il suo sguardo volge verso la città di Fiume che invece di essere italiana sta per essere consegnata alla Jugoslavia. La città viene occupata e diventa Città di Vita, di Arte. Arrivano giovani rivoluzionari da tutta Europa: arditi, futuristi, anarchici e socialisti. Il Vate diventa il Comandante, il ribelle che va contro i poteri forti della nascente Società delle Nazioni che si era spartita i territori europei dopo la Grande Guerra. Viene promulgata una costituzione libertaria, la Carta del Carnaro. Fiume è il progetto rivoluzionario del Vate perché si fonda sul diritto dei popoli a disporre di sé stessi, è un laboratorio politico al di là della destra e della sinistra. Una festa della rivoluzione e di costume che anticipa di 50 anni le battaglie del ’68 con una e sostanziale differenza: l’avventura fiumana è patriottica non è nichilista come l’ideale sessantottino. Ma l’occupazione dura poco più di un anno perché nel Natale del 1920 le navi Andrea Doria e Duilio aprono il fuoco sulla città. Italiani contro italiani come nel Medioevo. Il poeta viene ferito, 31 legionari fiumani muoiono. Il Comandante è costretto ad arrendersi. Deluso dalla politica il Vate si trasferisce in una villa a Gardone Riviera che trasformerà negli anni dal 1921 al 1° marzo 1938, giorno della sua morte, in un vero e proprio mausoleo di se stesso. Con la Marcia su Roma sale la stella di Mussolini mentre quella di d’Annunzio cala, così il Vate accetta la sacralizzazione della sua figura che il fascismo gli offre.
Ad ogni richiesta bizzarra del Vate il Duce risponde positivamente pur di tenerselo buono. E così si fa mandare lo Sva del Volo su Vienna, il MAS della Beffa di Buccari, fa incastonare nella collina del Vittoriale la prua delle Nave Puglia, dove organizza spettacoli e ricevimenti. D’Annunzio si fa pirandelliano diventando il capocomico di una compagnia teatrale che trasforma un’anonima villa sul lago di Garda nel palcoscenico di una vita che si fa opera d’arte. Circondato da cimeli delle sue imprese, simboli esoterici e migliaia di libri abita la casa con la fidanzata ufficiale, la pianista Luisa Baccara, la fedele domestica amante, Amelie Mazoyer e la cuoca soprannominata Suor Intingola. E così mentre Mussolini e il Fascismo del Vate usano e si lasciano ispirare dalla retorica fiumana, come i discorsi dal balcone del Palazzo del Governatore o i vari motti dal «Me ne frego» ad «Eja Eja Alalà», d’Annunzio lavora alla sua immortalità. Quella che solo un poeta può ambire e che dopo quasi un secolo fa vibrare ancore il cuore degli italiani.