Fu ucciso dalla mafia per aver svolto il proprio lavoro. Oggi è un simbolo per tutti.
Sono trascorsi 36 anni dal feroce assassinio di Giancarlo Siani, giovane giornalista de Il Mattino di Napoli, autore di coraggiosi articoli sulle attività criminali dei clan della camorra e sui loro conflitti interni. Cronista precario al Mattino, Siani aveva condotto inchieste scomode sui boss di terra oplontina, Torre Annunziata, sui patti e le lotte che caratterizzavano i rapporti fra “le famiglie” per contendersi la grande torta dei finanziamenti pubblici da investire per la ricostruzione dei centri abitati distrutti dal terremoto del 1980. “Giancarlo lavorava già da anni, aveva collaborato con Amato Lamberti che aveva l’Osservatorio sulla Camorra”, ricorda la giornalista del Mattino Daniela De Crescenzo, all’epoca collega e amica di Siani, “aveva scritto per il giornale della Cisl e aveva iniziato a lavorare per Il Mattino. Viveva a Napoli, era un ragazzo del Vomero e faceva il corrispondente da Torre Annunziata.
Una realtà molto cupa, violenta. Giancarlo ci si approcciava con gli occhi dell’inviato. Aveva intuito che al centro della vicenda c’erano gli appalti del dopo terremoto e gli appalti della Legge Falcucci, redatta per l’edilizia scolastica”. Siani aveva raccontato che una “soffiata” del clan Nuvoletta ai carabinieri aveva favorito l’arresto del boss rivale Valentino Gionta. Quell’articolo, pubblicato il 10 giugno del 1985, segnò la sua condanna a morte. Il 23 settembre successivo, Giancarlo fu ucciso sotto casa di ritorno dalla redazione di via Chiatamone. Ci sono voluti 12 anni per scoprire le cause che hanno spinto le mani della criminalità organizzata a togliere la vita al giovane cronista. “Ucciso proprio per il lavoro svolto, per l’onestà e l’intelligenza con cui onorava il diritto alla libera informazione, raccontando i delitti della malavita e le trame di chi ne tirava le fila”. Scriverà così, il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, nel 2020, in un messaggio alla Fondazione Giancarlo Siani Onlus.
“La morte di Giancarlo ha segnato uno spartiacque sia per noi de Il Mattino che per il Movimento anti-camorra”, spiega la De Crescenzo, “dopo l’omicidio, i primi a mobilitarsi furono proprio gli studenti. Organizzarono una grande manifestazione anti -camorra e da quel momento a Napoli si è rafforzata la lotta alla criminalità. Sono state le giovani generazioni di napoletani ad identificarsi in un ragazzo come loro animato da passione civile, capace di opporsi al sistema del malaffare”. Giancarlo aveva molte passioni, amava la vita, aveva una fidanzata, faceva l’istruttore di pallavolo. È la storia di un ragazzo normale che non aveva intenzione di fare l’eroe ma di fare solo bene il suo mestiere. La storia di questo giovane giornalista arriva dritta al cuore, non deve essere dimenticata. Giancarlo è un esempio civile per i ragazzi, sedimenta in loro un sentimento di rivalsa, la necessità di fare giustizia e di opporsi con determinazione al sistema criminale”.
Invece avrebbe dovuto avere l’ intenzione di fare l’eroe, perché ce n’è bisogno più che mai. Perdio: una sana virilità alla Nino Bixio e alla D’Annunzio del tempo dei Legionari di Fiume, Qualcosa che ti assimili a un Giulio Cesare che metteva in croce i pirati perché pirati: Questo è il compito futuro di chi dovrà svegliarsi, oltre il buonismo e l’abulia. E’ pacifico che solo quando si impugneranno le armi per un repulisti potrà rinascere la Patri decente e culturale. Inutile illudersi.