Ma che cosa ce ne importa della Vergine? Del resto la verginità è un concetto astruso, oggigiorno, figuriamoci cosa possa fregarcene della divinità, nella Roma mistica e vaticana, poi. Ma cosa ce ne può fregare di un villino liberty demolito al Coppedé? Ma che piffero ce ne frega di ogni ordine di sacralità e Bellezza che governa la città di Roma ben prima dell’avvento nella storia dei mai nati come uomini, figuriamoci come politici? Occorre rimuovere, sminuire o spostare la statua della Madonna che troneggia al centro di una piazza, e del cuore popolare, da pedonalizzare, da “riqualificare”? In nome dell’estremo presentismo (elettorale?) si può fare. Si può fare tutto nella cloaca maxima, si possono tirare su funivie, “smadonnare” piazze, demolire villini. Si può fare tutto purché risponda, ovviamente, al principio primo della mediocrazia, imperante governo dei mediocri: la casualità e la necessità oltre ogni valore. Il municipio tre di Roma, città persa nel mal di pancia semantico: “riqualificazione”. Dietro questo atto teatrale che sta andando in scena al quartiere Monte Sacro, esattamente in Piazza Sempione, c’è l’estrema urgenza di una giustificazione d’esistenza immediata di taluni, evidentemente. Far qualcosa per dimostrare che si esiste, un po’ come la strategia degli arresti domiciliari alternati imposta dai governi fantasy, del Conte e dei Draghi, anche detti governi del reality, Casalino docet. E proprio tra fantasy e reality si gioca lo choc collettivo.
Roma si governa con lo spirito, anzitutto: con lo spirito del tempo passato, verso cui essere necessariamente ossequiosi, che permette l’interpretazione del tempo presente, non viceversa. Un museo generato tra sale affrescate del Quattrocento, che ospita opere del XIII secolo – o del 13esimo, per essere francesemente politicamente corretti, ormai, o per chi vuole fare la storia nuova rifiutandosi di imparare a leggere i numeri romani – difficilmente potrà ospitare banane appiccicate al muro col nastro, rispondenti ad un’arte che vale perché costa, direbbe Angelo Crespi. Tutto si può fare, ma poi svanisce il senso, il gusto, l’eleganza, la visione, la missione, finanche la trasgressione. Roma si governa da uomini, e non da politici, questione ben diversa. Roma si governa con la cultura che è coltivazione, anche nella più piccola periferia. E la coltivazione implica un processo che fonde conoscenze, intuizioni, suggestioni, studi, dubbi fugati da certezze, competenze e altre parti fondamentali del meccanismo umano. Ed è per questo che ancora più forte si eleva il rumore di Giulio Carlo Argan che si rotola nella tomba, così come quello di Ernesto Nathan. Altri tempi, d’accordo, altri uomini. Non esistono tempi nella Città Eterna, nell’Urbe che ha migliaia di anni, esistono solo altri uomini. Nani e giganti. I giganti come Argan che della cultura per Roma non hanno fatto faccenda élitaria, bensì missione da diffondere oltre la tutela dell’infinito patrimonio romano, coltivazione di una visione che dalle borgate corresse verso il centro, che potesse far crescere la città secondo un preciso orizzonte – penso alla rivalutazione dell’università romana -, e nanerottoli social-democratici. Dove social è proprio social.
Piaccia o no, intorno al sacro è nato il resto, a Roma. E intorno alla Madonna della Misericordia, patrona del quartiere Monte Sacro, si è sviluppato, nel tempo, un preciso contorno. Così, quindi, si può sviluppare la “riqualificazione” rispettosi di quella antica volontà. Come un patto tra il popolo e le proprie credenze.
Numerose le proteste – tra cui una manifestazione nel pomeriggio di ieri – come sottolinea anche la senatrice Paola Binetti dell’Udc, che constano, oltretutto, come rende noto lei stessa in un’interrogazione al Ministero della Cultura, riportata da AgCult, di “oltre 3.000 lettere e manifestazioni di dissenso rispetto all’attuale disegno di riqualificazione”, tra le cui righe la Binetti specifica: “L’approvazione del progetto è avvenuta senza alcuna condivisione con la cittadinanza (comitati di quartiere, parrocchia, categorie professionali), avendo la Giunta rinunciato al ricorso al ‘processo di partecipazione dei cittadini alla trasformazione urbana’, e senza nessuna condivisione col Consiglio municipale e con le Commissioni competenti. L’assenza dell’elemento fondamentale della partecipazione e del confronto ha minato alle basi la stessa redazione del progetto, che risulta, da un’analisi della Relazione che lo accompagna e delle tavole ad esso allegate, privo di elementi fondamentali per l’inquadramento storico, urbanistico-architettonico, che appare confuso negli obiettivi generali, carente nella spiegazione delle scelte di progetto”.
In realtà non preoccupa la gioiosa necessità di riqualificare una zona, una via, una piazza, non preoccupa, certamente, un amministratore che amministra, ma la facilità con cui, anche oltre questo episodio romano, la volontà di trasformare la divinità, ormai, in un fatto privato che non ammorbi il pubblico, dalle ricorrenze, alle piazze. Amarezza che si ispessisce in una città sacra a Dio e agli dei, che si governa col genio e la virtù.