Il Castello di Bivona: una storia ancora tutta da scoprire

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Mai come in questo caso, è giusto dire che “Il Castello di Bivona rivede la luce”. La frase fatta, ripetuta in infinite occasioni, qui ha un significato reale, perché da qualche giorno, per volontà del sindaco Maria Limardo, l’intera area che circonda il vasto sito archeologico è oggetto di un primo intervento di pulizia e riqualificazione. I lavori sono coordinati dall’archeologa Mariangela Preta, consulente del sindaco per i beni culturali, ma in questo caso la “persona giusta al posto giusto”, perché tra i mesi di ottobre e dicembre del 2015, nell’ambito dei lavori per la realizzazione del Parco Archeologico Urbano di Hipponion – Valentia, è stata avviata una campagna di scavi archeologici all’interno del castello, con lo scopo di migliorare la fruibilità del sito ed effettuare mirati approfondimenti stratigrafici in modo da orientare eventuali e auspicabili indagini future. Lo scavo è stato condotto sul campo proprio da Mariangela Preta e diretto da Fabrizio Sudano, funzionario archeologo della Soprintendenza Archeologia Belle Arti e Paesaggio per la città metropolitana di Reggio Calabria e la provincia di Vibo Valentia. I rilievi erano stati effettuati dal dott. Eugenio Donato e la buona riuscita di questi lavori di restauro hanno portato ad una prima riapertura ufficiale dell’antico maniero al pubblico in occasione della Giornate di Primavera FAI del 2016.

Il castello di Bivona ha una sua caratteristica particolare perché è uno dei rari manieri realizzati a breve distanza dalla linea costiera, un poderoso apparato difensivo, eretto sul luogo di una villa romana e nei pressi di una presumibile area sacra, eretto a presidio di un porto già esistente nel III sec. a.C., a conferma dell’importanza strategica del sito, legata al controllo dello scambio marittimo e dei suoi traffici. Sapere che sono in atto ulteriori studi ed approfondimenti, non può che suscitare ulteriori curiosità che solo Mariangela Preta può in qualche modo soddisfare.

E lei, certo, non si tira indietro all’incalzare delle domande.

“Colgo con piacere questo invito – risponde l’archeologa vibonese – perché mi offre l’occasione di comunicare e rendere noti alcuni progetti già in atto. D’altronde, manufatto architettonico è stato oggetto più volte di attenzione della letteratura pur specialistica d’ambito ora archeologico, ora architettonico; e, nel 1999, diciamo meramente localistico.  Ma, escluso il brillante saggio di Francesca Martorano (“Il Castello di Bivona“), due lacune – a mio giudizio: gravi! – si registrano nella produzione a stampa dei tempi a noi contemporanei.  Mi riferisco ed intendo riferirmi in primo luogo ad una deprecabile continuativa della impostazione primottocentesca di tutto intendere “accentrato” e da “accentrarsi” in una sorta di preminenza “collinare”, a discapito di qualunque altra realtà territoriale. I tempi sono non solo cambiati, bensì notevolmente maturati. Auspico pertanto mai più la pur vasta area marina sia sprezzantemente intesa e riduttivamente da alcuni con termine addirittura seicentesco ancora additata quale: “Le Marinate”.

Le chiediamo di introdurci al Castello attraverso una descrizione più precisa rispetto alle conoscenze (poche) che perlopiù hanno i vibonesi.

“Il Castello – spiega Mariangela Preta – è parte di vasta area, che territorialmente ed amministrativamente si dispiegava dal versante Triparni/S. Pietro di Bivona alle propaggini di Longobardi; e che ove volessimo vederla in prospettiva aerea ci costerebbe solo lo sforzo di una passeggiata sino alla via Affaccio di Vibo Valentia, una via che non ha un denominazione casuale: basta, infatti, solamente “affacciarci“; chiudere per pochi istanti gli occhi… e viaggiare nel Tempo e nella Storia: … vedremmo a raggiera borgate e villaggi e casolari non pochi;  … potremmo udire anche – purtroppo! – l’urlo disperato di molti, ove e quando in ben tre drammatici eventi furono spazzati vi a- dall’alto verso il basso – dai sismi del 1638, 1659, 1783. Eventi catastrofici complessivi fanno tragicamente scomparire alcuni dei centri attivi nel Territorio da secoli e le cui testimonianze sono ben evidenti nelle pergamene dell’Abbazia di Mileto. Spariscono Carcarellum, Faracladum, Sisinoni, Vivilletum. E soprattutto scompare definitivamente il pagus di Castellarium. Villagio chee qui si menziona solo per amore di completezza – nel menzionato anno 1999 venne posto (artatamente?) a motivo di ben artificioso equivoco: allorché si costruì – con tale toponimo – l’immaginifica costruzione retorica di un “Monasterio Castellarium”; indicando essere la definizione stessa di una struttura castrense ravvisabile nel Castello di Bivona. E nobilitando tutto ciò in un luogo deputato: la pergamena di donazione da parte del conte Ruggero dei territori di Bivona e sua Tunnaria alla Abbazia della SS.ma Trinità di Mileto.

Il Castello di Bivona una storia  ancora tutta da scoprire

Il passo artatamente costruito fu in allora il seguente:

Interessante, per la nostra ricerca sulla fortificazione dell’area portuale, risulta un successivo diploma normanno del 1101, il quale, oltre a rilevare la presenza nell’area portuale di una tonnara, testimonia la presenza in Bibona di una struttura incastellata, nell’atto meglio definita come “monasterio castellarium” [Diplomi Normanni (a.1101, giu., Ind. II): “In primis dedimus praefato monasterium castellarium, cum Bibona portum tonnariae, et cum omnibus eorum pertinentii, videlicet cultoris, et vineis, sicut ego una die, et una nocte tenui in meo domini libere, et absolute, et franche sine aliqua contradictione…”.

Al che:

  • È totalmente fuori dal contesto documentale tale indebita attribuzione.
  • Il testo della predetta donazione ruggeriana ben indica la sequenza logica temporale fattuale e diremmo sinanche sintattico-ortografica del ductus: Io Ruggero, conte, diedi al predetto monastero della Trinità di Mileto (soggetto ed oggetto preindicato del vistoso donativo = praefato monasterium) Castellarium, (unitamente a nello stesso tempo) Bibona (il suo) portum (e l’ivi) tonnariae…”.
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E concludiamo tale florilegio con l’invitare a se mai un uso metodologicamente corretto, delle Fonti.

Fonti che ci informano degli eventi catastrofici, dicevamo, tra cui ad esempio quelli del 1638 – in cui violente e continuative piogge favorirono il distacco di immani masse di terreno, che, incanalantesi nei due corsi d’acqua: Trainiti e Sant’Anna si precipitarono giù e sempre più giù; sino ad avvolgere le mura del sottostante Castello di Bivona in un’alta morsa di fango e formazione di terreni paludosi nell’area antistante il Castello. Che, man mano prosciugandosi spostarono sempre più in avanti la linea di battigia; distanziando e distaccando sempre di più il Castello dal mare.  Villaggi, borgate, casolari raggruppati od isolati, per secoli fecero corona attorno all’epicentro Bibona. Che, avendo autonomia politico -amministrativa governava quell’insieme di “Fuochi”, anche e in specie sotto l’aspetto fiscale”.

Da questi racconti, par di capire che Bivona deteneva il ruolo non certo secondario in questo territorio? Un vero e proprio centro di un mandamento territoriale perfettamente legittimo e per secoli ampiamente riconosciuto dai reali e dal potere centrale?

“Di più – risponde decisa – era il Fulcro di un potere territoriale cui era riconosciuto il governo feudale e l’esercizio dello stesso fu – e per secoli, l’Abbazia di San Michele Arcangelo e della Ss.ma Trinità di Mileto. Il cui abate aveva titolo di dominus Plagiae Bibonae.  L’aspetto economico era rappresentato dalla preponderanza della produzione di pesca. E tutta la zona aderiva in intima coesione sociale ad una generalizzata Cultura del Mare. Da cui le popolazioni traevano e fattivamente trassero ogni sostentamento. Necessitavano di un adeguato livello militare di protezione. Ed in ciò bisogna individuare il livello operativo e direi la principale se non unica motivazione dell’esistere stesso di una Torre Mastra nell’incipiente XII secolo”.

Insomma, par di capire che sulla storia del Castello di Bivona c’è ancora tanto da scoprire, che poco si è in realtà detto sulla sua verità storica…

“Le mie ricerche ed i miei programmi sono infatti orientati nell’individuare in tale ipotesi: una grande Torre molto antica, una possibile origine o comunque stato di preesistenza di ciò che secoli dopo divenne ed è noto come Castello di Bivona.  A tale orientamento soccorre una parte delle risultanze archeologiche. Saggi di scavo permettono infatti di asserire che, con ogni probabilità, vi furono ben tre fasi pavimentali. Pavimentazione il cui scavo ha restituito reperti ceramici databili al XIII, che costituendo il terminus post quem ci permettono poter formulare la seguente definizione archeologica: il Castello di Bivona, alla luce delle recenti campagne di scavo archeologico, fu sicuramente in uso già al XIII secolo, come attestano i frammenti di ceramica rinvenuti nell’ “Area 1000”. Ma con la formula sicuramente in uso non si intende né si vuole intendere edificato nel XIII.  Infatti il contestuale analitico studio delle fonti ci indica che necessita estendere almeno all’inizio del XII secolo l’ipotesi di una tipologia volumetrica fortificata, presumibilmente derivante da una consistente preesistenza d’uso civile.  Infatti la dizione di Palatium et Tintoriae ricorrono nel lessico di cui alla seguente fonte pergamenacea, del Diplomatico dell’Abbazia di Mileto: 1135, gennaio. Indizione XIV. Scritto per mano di Guidone, notaio reale.  Re Ruggero, figlio del conte Ruggero, autorizza la permuta intercorsa tra l’abate David e monastero della Trinità di Mileto, e la Chiesa di Cefalù (fondata dallo stesso re Ruggero II) di alcuni beni per comodità del monastero miletino e della chiesa cefaludense. La Trinità di Mileto a richiesta cede beni in Sicilia, quindi lontani dal monastero:

*  due chiese nel territorio di Cefalù con tutte le pertinenze; le decime della terra di Cefalù; 39 servi spettanti alle dette chiese.

Medesima Trinità di Mileto con la predetta permuta acquisisce beni in Calabria, quindi vicini al monastero. Risultano elencati:

* Una Tintoria in Bivona;

* Un ebreo di nome Leone, con tutta la sua famiglia, sicuramente preposto alla menzionata tintoria;

* Un Palatium in Bivona.

Nelle pertinenze di Mileto:

*  la vigna presso S. Elia

*  il mulino di Dafinà

In Umbriatico:

*  due colture col canneto

*  39 villani in diversi luoghi.

Non c’è dubbio che si tratta di documentazione che rappresenta passi avanti importanti nella riscrittura della storia del Castello di Bivona basata su dati di fatto concreti e non più su ricostruzioni romanzate, più o meno fantasiose ed forse anche arbitrarie…

“Mi preme ringraziare lo studioso Giovanni Pititto – risponde la Preta a queste nostre osservazioni – che mi sta supportando nella analisi e ricerca delle fonti archivistiche, che confluiranno in uno studio analitico storico ed archeologico di prossima pubblicazione”. 

A questo punto, lo sguardo dell’archeologa letteralmente si illumina, ben comprendendo di offrire ai lettori una ghiotta anticipazione:

“Ecco, verso quel lemma: Palatium (in Bivona e nel gennaio del 1135). È qui che si appunta ora tutto il mio interesse ed il mio programma di studi”.