“Presidente dobbiamo essere chiari, in questo tempio della democrazia si professa il rispetto nei confronti di tutti senza discriminazione di credo, di orientamento politico, sessuale, ma giù le mani dai nostri bambini! I nostri bambini non sono cavie di qualcuno che si ispira all’ideologia woke o che è in cerca di notorietà”. È così che l’onorevole Antonio Baldelli (FDI), in un intervento in Parlamento, ha segnalato il “laboratorio per bambin* trans e gender creative”, dedicato all’orientamento sessuale di giovani e giovanissimi, tenutosi all’università Roma Tre, patrocinatore dell’iniziativa, con ricercatori e insegnanti.
Quale sarebbe la ricerca che si farebbe con un laboratorio per bambini trans? “Dov’è l’imparzialità di questo progetto, dato che è organizzato da attivisti appartenenti ad associazioni lgbt e transgender? Forse il loro punto di vista è leggermente ideologizzato?”, è stata questa la domanda posta da Jacopo Coghe, vicepresidente di Pro Vita e famiglia, al rettore dell’ateneo.
Un quesito che CulturaIdentità gira all’onorevole Baldelli per chiedergli d’approfondire questa vicenda sconvolgente.
“Immaginavo che dopo la nostra denuncia, l’Università sarebbe intervenuta per interrompere quella che a me, e non solo a me, pare una follia. Invece, sono rimasto sorpreso dalla posizione assunta dal rettore che, penso inconsapevolmente, ha finito per confermare che si tratti di propaganda gender perché, parole sue, il laboratorio servirebbe per “far progredire la comprensione e la consapevolezza delle diversità di genere” dei bimbi e quindi, di fatto, diviene strumento per “aumentare il loro riconoscimento sociale”. C’è chi fa ricerca per la lotta al cancro o per riconoscere l’origine dell’autismo. In Italia, a Roma, si fa ricerca per – cito sempre il rettore – comprendere “il contesto sociale in cui i baby trans si muovono”. Un’affermazione che fa rabbrividire”.
Tra i suoi colleghi di partito c’è stato anche l’intervento del vicepresidente della Camera di FdI Fabio Rampelli che, infatti, ha puntato il dito contro docenti e ricercatori della Facoltà di Scienze della Formazione, definendoli “presunti docenti e ricercatori universitari che puntano a togliere i figli a genitori presuntamente incapaci di assecondare teorici gusti sessuali di bambini di 5 anni che ancora non sanno leggere e scrivere”, definendolo “un programma surreale senza alcuna funzione prevista al riguardo dalla nostra costituzione né dal nostro ordinamento”.
A proposito di docenti, cosa pensa del rapporto che oggi vige in Italia e in Europa tra Gender e luoghi di istruzione e formazione dei giovani?
“Io credo che si sia persa la rotta. Fermo restando, e voglio ribadirlo, il massimo rispetto per la libertà di tutti, come si fa a dedicare quasi la metà dei fondi di “Erasmus+” a iniziative sul gender e sull’agenda “arcobaleno”? Sono 1milione 184 mila euro su 2,5 milioni totali. Questo ci dà una chiara idea dell’orientamento europeo e se una volta si andava all’Università di un altro Paese per stringere relazioni, conoscere la lingua e la cultura, creare una vera identità comune europea, oggi invece si organizzano campus per imparare a indossare i panni da drag queen. Questo dice tutto”.
Si è parlato del rapporto docenti-gender. Qual è invece, a suo avviso, l’approccio dei genitori verso l’ideologia arcobaleno?
“Io credo che i genitori vogliano difendere i propri figli non dalla comprensione di un fenomeno, quanto dalla propaganda e dall’invasività di questa ideologia. Come ho già detto, giù le mani dai nostri bambini che dovrebbero maturare in un contesto naturale. Oggi, invece, si parla di disforia di genere in età in cui non si ha ancora nemmeno piena percezione e consapevolezza di sé, delle relazioni e del mondo circostante”.
Quali sono stati gli interventi di FDI nel disciplinare il rapporto scuola – famiglia – gender?
“Per quanto riguarda il rapporto tra scuola, famiglia e tematiche legate al gender, Fratelli d’Italia vuole proteggere il ruolo primario della famiglia nell’educazione dei figli. Siamo fortemente contrari a qualsiasi forma di “indottrinamento” nelle scuole che promuova concetti legati all’identità di genere. Crediamo che siano le famiglie a dover decidere se e come affrontare questi argomenti delicati e che la scuola debba rispettare i valori tradizionali della società italiana. In passato, abbiamo sollevato preoccupazioni relativamente all’introduzione di materiale didattico che, a nostro avviso e non solo nostro, mette a rischio la stabilità emotiva dei bambini e i valori della famiglia tradizionale”.
Quali sono invece i progetti futuri di FDI in questo campo?
“Continueremo a difendere il diritto delle famiglie di avere voce in capitolo su ciò che viene insegnato ai propri figli in merito ai temi legati al sesso e al genere. Da parte mia appoggerò le proposte di legge che lascino fuori dalle scuole la diffusione di temi gender. Stiamo lavorando per rafforzare la normativa che protegge i diritti dei genitori in questo ambito. Riteniamo che la scuola debba concentrarsi su un’educazione ‘laica’, ispirata anche al rispetto della sessualità e non alla promozione di ideologie che possano destabilizzare i valori fondanti della società e ciò che la natura ha stabilito sin dall’inizio dei tempi”.
A proposito di ideologia gender e contesto scolastico, spesso uno dei temi caldi è stata la carriera alias. Quali sono stati e quali saranno gli interventi di FDI a riguardo?
“Sul tema della carriera alias, ci siamo espressi in modo chiaro: consideriamo questa pratica una pericolosa deriva ideologica che promuove una visione innaturale. La carriera alias permette agli studenti di utilizzare un nome diverso da quello anagrafico all’interno delle scuole, ma riteniamo che questo non sia supportato da alcuna previsione legislativa e che non rispetti i principi dell’ordinamento giuridico. Abbiamo già intrapreso azioni concrete, inviando lettere ai dirigenti scolastici per informarli che tali registrazioni non rispettano i principi ordinamentali. Stiamo lavorando affinché questa pratica non abbia più spazio”.
Parlando di ideologia gender è inevitabile ricordare la disforia di genere e il suo vertiginoso aumento: secondo i dati raccolti tra il 2018 e il 2021 dal Sifip (Servizio per l’adeguamento dell’identità fisica e psichica del San Camillo di Roma), è emerso che i casi di disforia di genere sono aumentati del 315%. A suo avviso da cosa è dovuto l’aumento di questi dati?
“La propaganda dà i suoi effetti. Ma questa cosiddetta disforia infantile e adolescenziale, è accertato scientificamente, è quasi sempre transitoria”.
Come pensa che si evolverà in Italia e in Europa il rapporto tra gender e i punti nevralgici della società, come appunto la famiglia e le istituzioni scolastiche?
“Difficile prevedere, servirebbe, a mio avviso, un intervento legislativo completo che non lasci spazi a dubbi o incertezze. L’uomo nasce uomo, la donna nasce donna. Poi, col tempo, qualcuno può anche decidere di cambiare orientamento sessuale. Non spetta a noi censurare l’individuo nella sua sfera strettamente personale e sessuale ma deve sempre trattarsi di una scelta consapevole e matura. Anche per questo, non possiamo lasciare che qualcuno “bombardi” i nostri bambini con teorie che sovvertono l’ordine naturale delle cose”.