Giancarlo Magalli: «il politically correct passerà, come tutte le follie»

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Intervista con uno dei volti più iconici della televisione pubblica italiana: Giancarlo Magalli. Storico conduttore e autore di programmi che hanno fatto la storia della RAI, racconta a Massimiliano Beneggi la sua vita professionale, i suoi successi, il suo pensiero sulla nostra epoca. Leggi l’intervista integrale sul numero 50 di CulturaIdentità, corri in edicola o abbonati per avere la tua copia comodamente a casa!

C’è una sola persona che, con Renzo Arbore, condivide il record di essere da sempre un uomo di casa Rai: si chiama Giancarlo Magalli. Scorrendo l’elenco dei numerosi programmi che lo hanno visto protagonista come conduttore (e molto spesso anche autore) si leggono titoli appartenenti alla storia del piccolo schermo: Pronto è la Rai, I cervelloni, Fantastica italiana, Mille lire al mese, Papavere e papere, Luna Park, Giorno dopo Giorno, I fatti vostri, Zecchino d’oro, Domenica In. Insomma, Magalli è un’icona della nostra tv, che ha fatto tutto quel che si può associare ancora oggi al più bel modo di realizzare uno spettacolo. Impossibile dunque festeggiare i 70 anni della Rai prescindendo da lui.

Rassicurante, sarcastico, dissacrante (e forse questo gli è costato Sanremo a fine anni ’90). Geniale talent scout (anche autore di cabaret per un giovanissimo Pippo Franco), capace di scovare tanti comici a Non stop, per poi lanciare successivamente la Premiata Ditta. Magalli è da sempre una carta vincente su cui la Rai può contare anche nei momenti più complicati: per tre volte nella conduzione ha raccolto la difficile eredità di Bonolis. Quando accaddero imprevisti in diretta come un seno nudo di Wendy Windham o una barzelletta spinta di Anna Falchi, il servizio pubblico sapeva di potersi affidare alle educate e sentite scuse di Magalli.

In pratica, a parte il cavallo di viale Mazzini, nessuno più di lui e Arbore ha mantenuto la stessa fedeltà a Mamma Rai, andando avanti con la perseveranza che, ci insegna Victor Hugo, è il perpetuo rinnovarsi del punto d’appoggio. Esattamente quello che rappresenta Magalli per la Radio Televisione Italiana.

Magalli, come nasce la sua storia in Rai?

La primissima esperienza fu nel 1960, quando il direttore dell’Eurovisione Corrado Agostini mi assunse per accompagnare le troupe francofone alle Olimpiadi. Scoprii che mi piaceva lavorare per la Rai. Poco dopo fui chiamato per fare ricerche negli archivi per conto delle televisioni straniere aderenti all’Eurovisione, che chiedevano filmati particolari. Ovviamente era un archivio molto meno gigantesco di oggi.

Non c’erano ancora 70 anni di storia…

L’archivio era un piccolo scantinato con delle pellicole 16 mm e montatrici dell’epoca. Anche quello mi piacque e consolidò il rapporto con questa azienda che era giovane e cresceva bene.

Il primo contatto artistico?

Nel 1964 alla radio per un programma che si intitolava Io e il mio amico Osvaldo, con Renzo Nissim. Subito dopo arrivò Bandiera gialla, con Renzo Arbore e Gianni Boncompagni: io ero uno dei ragazzi del pubblico attivo.

Un programma diventato leggendario.

I ragazzini dell’epoca impazzivano perché era una trasmissione nuova in cui si mandavano in onda dischi, che magari non erano ancora nemmeno nei negozi, di artisti come Beatles e Rolling Stones, fino a prima proibiti.

I Beatles erano proibiti?

Per la “vecchia radio” erano considerati troppo fragorosi. Bandiera gialla cambiò le carte in tavola. Iniziavo così a lavorare assiduamente: collaborai molto con Boncompagni e un’estate andai in un villaggio vacanze dove conobbi degli artisti che scritturai per un villaggio.

È vero che fu lei a lanciare Fiorello?

Fiorello frequentava questa scuola che la Valtour aveva aperto per formare nuovi animatori. Io ero il docente perché ero l’unico in Italia ad avere esperienza di animazione, avendo lavorato nel primo villaggio vacanze italiano. Spiegavo loro quali fossero i trucchi del mestiere e le trappole da evitare. Tra questi allievi del villaggio di Ostuni c’era Fiorello: simpatico, funzionava bene. E poi piaceva alle donne!

Non tutti ricordano che lei fu l’autore di Non stop. Come nacque?

Da un’intuizione di Pippo Baudo. Negli anni ’70 succedeva spesso che i presentatori importanti facessero delle serate estive in varie località turistiche: Pippo aveva avuto una buona impressione da vari giovani che venivano invitati ad applaudire nei teatri. Così rivolgendosi a un geniale funzionario Rai, Bruno Voglino, propose di trovare un sistema per lanciarli con una formula simile in tv.

E come si arrivò a lei?

Voglino raccolse l’intuizione, fece un tentativo con autori più illustri di me ma non ebbe il risultato sperato, perché nessuno portò avanti l’idea. Voleva puntare su un autore giovane e arrivarono quindi a me. Così, buttai giù il copione di tutte le sette puntate di Non stop, che dovevano essere affidate a un regista, il quale però si spaventò quando lo lesse, ritenendolo troppo nuovo e troppo diverso dalla tv a cui si era abituati. Il regista se ne andò e fu sostituito però da un grande nome, anche se con un bel caratterino: Enzo Trapani.

Una particolarità di Enzo Trapani?

Aveva la smania delle armi: faceva impressione vederlo girare negli studi televisivi con le pistole. I piemontesi poi sono già molto timidi, quindi negli studi di Torino vedere questa specie di “sceriffo pazzo” creava il panico. Ma aveva un grande talento e nessuno poteva contestarglielo.

Non stop fu un successo: un programma che non aveva bisogno di presentazioni, in tutti i sensi, perché non esisteva un conduttore.

I giovani erano bravi, li avevo scelti io: tutti ragazzi che mi erano stati segnalati o che avevo già lanciato al villaggio tra i giovani del momento. Non stop fu la mia affermazione come autore.

Tra i suoi programmi anche Pronto Raffaella?, quindi Pronto chi gioca?. Come accadde la sua sostituzione di Enrica Bonaccorti? Si propose lei?

No, fu Boncompagni a spingermi. Enrica rimase incinta e lo annunciò in diretta, volendomi al suo fianco. Alla mattina avevamo chiuso con questa bella notizia, purtroppo nel pomeriggio la ricoverarono d’urgenza per un’emorragia. Il giorno dopo ci voleva qualcuno che conducesse al suo posto. Boncompagni era convinto che lo avrei fatto benissimo, perché essendo anche l’autore avrei saputo cosa bisognasse dire.

La sostituzione durò una settimana, ma poi l’anno dopo con Pronto è la Rai iniziò una grande carriera da conduttore. Perché però non si è mai tolto quell’odiosa etichetta di jolly e tappabuchi?

C’è stato un certo numero di anni in cui mi sono trovato spesso a sostituire qualcuno. Successe anche con Enrico Montesano, che era fuggito da Fantastico. Qualche anno dopo è accaduto anche con Monica Setta, che sostituii in Bye Bye Baby

Non ha la sensazione di essere un po’ dimenticato o perlomeno sottovalutato ogni tanto dalla Rai?

Sicuramente, però mi rendo conto che sono passati tanti anni dagli esordi e la fascia di pubblico cambia. Chi mi vedeva nei primi varietà che ho fatto era un pubblico di signore cinquantenni: persone che oggi non ci sono più. Se uno dura tanto artisticamente, si finisce che non ci si ricorda più davvero chi sia, perché si guarda solo alle ultime cose che si sono fatte. Così tutti si ricordano solo I fatti vostri, che ho fatto per vent’anni.

Uno dei più grandi successi a cui guardare ancora, per conservare la memoria della musica e della tv che fu, rimane Papaveri e papere.

Con Pippo lo abbiamo fatto divertendoci. Moltissimi giovani, però, non lo hanno mai visto e tra questi ci sono anche quelli che adesso fanno i direttori in Rai. Insomma quando arriva un nuovo direttore ormai devo sperare che la nonna lo costringesse a guardare i miei programmi, altrimenti devo cercare di convincerlo facendogli quel che ho fatto. Oltretutto oggi non ci sono più gli autori: si comprano programmi che hanno già funzionato all’estero.

Fare l’autore per un programma comico oggi cosa vorrebbe dire col politically correct?

Il politically correct è una stupidaggine immensa, ma ognuno teme di non applicarlo, forse anche per paura di essere poi messo da parte e dimenticato. Questo non vale solo alla Rai. Se la Disney riscrive i cartoni animati in funzione di quello, siamo alla follia: ma passerà come tutte le follie.

Mai una tentazione di abbandonare la Rai?

No, ho avuto la rabbia sufficiente per farlo ma non l’ho mai fatto perché in fondo è sempre casa mia. L’importante è sapere cosa ti può aspettare nella vita: se ti sposi pensando di trovare la persona più buona, fedele, dolce rimarrai deluso sicuramente. Se ti aspetti un po’ di meno magari troverai qualche soddisfazione. Quando sei in Rai devi conoscere certi meccanismi: sono sempre sopravvissuto senza eccessive aspettative.

Il miglior collega di sempre?

Pippo Baudo, espertissimo e competente.

Rimpianti? Occasioni perse?

No, le occasioni che mi hanno offerto le ho sempre prese: qualcuna è andata meglio, qualcun altra meno bene, ma se su sessanta trasmissioni due o tre non sono andate bene è già un miracolo. Come dice proprio Pippo: il nostro lavoro è come il Giro d’Italia, per vincerlo non bisogna portarsi a casa tutte le tappe, ma bisogna ottenere una buona media!

La tv identitaria di Magalli ormai lo abbiamo capito, è la Rai. Forse sappiamo già anche la città identitaria, ma ci dica perché.

Ovviamente è Roma. È la città dove sono nato, la mia culla, che ho avuto la fortuna di conoscere quando era ancora molto bella e vivibile. Io ancora adesso vado a cercare quegli angoli in cui passeggiavo con i miei genitori e riprovo la stessa emozione di allora. Alcuni palazzi non ci sono più, ma quello dove sono nato io però c’è ancora. Mi piace studiare Roma: vado a visitare musei e scavi come un turista e allo stesso tempo mi dà la possibilità di riaccendere sempre bei ricordi.

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