Justine Mattera: “vengo dagli USA ma sono 100% italiana”

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Foto di Markus Milo

Justine Mattera, una delle showgirl più complete dello spettacolo italiano, è stata per anni considerata la Marylin Monroe nostrana, dopo che Paolo Limiti la lanciò in tv proprio nel ruolo di sosia dell’attrice bionda platino. Oggi è ormai esclusivamente Justine Mattera. L’abbiamo vista recentemente protagonista a Tale e Quale Show, dove tra le altre imitazioni si è esibita nei panni di Heather Parisi, Rita Pavone, Madonna. Pochi giorni fa, ospite di Caterina Balivo, ha dichiarato di essere stata vittima di una truffa sui social da parte di un ricattatore, finito per essere arrestato, mentre la settimana prima era stata derubata del cellulare in un centro commerciale milanese, ma Justine non perde mai il suo buonumore: “E’ nel mio carattere, guardo sempre avanti con positività”, ci dice lei. Justine Mattera è uno di quei personaggi del cui talento si parla sempre troppo poco. E anche dei suoi trascorsi universitari, che furono il motivo per cui arrivò in Italia la prima volta.

Che anno era?

1992. Arrivai a Firenze per studiare, mi stavo laureando in letteratura italiana e inglese. Passai sei mesi in riva all’Arno: amavo la zona di Ponte Vecchio! Tornai negli Usa per terminare la tesi e tornai definitivamente nel 1994 pensando a un anno sabbatico. Invece poi mi sono fermata…

Tesi su?

Dante Alighieri. Però devo dire che tutta la letteratura italiana mi affascinava: Cavalcanti, Petrarca, Boccaccio, tutto il Rinascimento. Espressioni culturali incredibili.

Un amore per l’Italia che, in realtà, arriva direttamente dalle tue stesse origini.

Sì, molti non lo sanno ma io sono al 100% italiana. Mia madre è metà barese e metà salernitana, mentre mio padre è mezzo padre ischitano e mezzo messinese. La famiglia Mattera immigrò negli Usa a inizio ‘900 e la maggior parte dei miei parenti è ancora lì.

Come è cambiata l’Italia da quando sei arrivata ad oggi?

In tanti aspetti. Sembrerà banale, ma essere bionda in Italia era più raro. La società era più omogenea e più ricca, del resto anche il dollaro in America era fortissimo. Ma le bellezze italiane sono rimaste assolutamente le stesse e non smettono di affascinarmi.

Eppure noi tendiamo a guardare all’America come al sogno da imitare. È davvero più avanti di noi o è solo una nostra incapacità di capire quanto valiamo?

Ci sono un paio di aspetti su cui gli Usa sono più pratici. Uno è sicuramente la burocrazia, estremamente lunga in Italia. Poi si può parlare delle aperture dei negozi a tutte le ore: piano piano arriverà anche qui l’abitudine, ma lì c’è una vera tranquillità ad andare anche al supermercato in qualunque orario: quando torno negli Usa, apprezzo tutte queste cose. Ah, dimenticavo: c’è anche molta meritocrazia.

A proposito di meritocrazia, non ti andava stretto il personaggio di Marylin quando ti scoprì il pubblico televisivo?

No, anzitutto perché essere paragonati a Marylin è un privilegio! E poi mi ha concesso di rendermi riconoscibile al grande pubblico. È stato un ruolo che mi ha molto divertito: se qualcuno mi chiedesse ancora di uscire da una torta cantando Happy Birthday Mr President lo farei subito. Forse in quegli anni diventava limitante, perché passava l’idea che sapessi fare solo quello, ma poi credendoci sono arrivate le opportunità giuste.

Come arrivò la svolta teatrale?

Fu Claudio Insegno a chiamarmi per Victor Victoria. Per mia fortuna Antonella Elia, che doveva interpretare quel ruolo, non poté esserci perché era impegnata altrove, quindi contattarono me. Facevo la “pupa del gangster”: fu un successo che sorprese tutti. Nemmeno io mi aspettavo fosse così bello. Ero in scena con Matilde Brandi, Gianni Nazzaro e Paolo Ferrari: tutti fenomeni del palcoscenico, io ero un fattore un po’ incognito rispetto a loro. Ma andò benissimo.

Non poteva che essere così, con un maestro di spettacolo come Paolo Limiti alle spalle. Il suo insegnamento migliore?

Paolo fu la persona che mi fece scoprire dal pubblico: tutto nacque da una sua idea. Mi insegnò a essere professionale: studiava, si preparava, non si improvvisava mai con lui. Mi aiutò a non farmi sentire mai sentita “arrivata”, ma piuttosto inadeguata e quindi costretta a studiare. Anche avere studiato lettere è stata una bella palestra: mi ha portato a impegnarmi sempre, rimanere umile, riconoscente, grata e genuina col pubblico, a cui devo molto.

La tua passione per il ciclismo, che hai trasmesso a tua figlia, promettente campionessa di ciclocross, descrive anche una tua natura competitiva.

Ho sempre fatto tanto sport e non ho mai sposato l’idea che fosse importante solo partecipare. Bisogna farlo dando comunque il massimo: magari non vinco, ma l’impegno deve essere tale da risultare una vittoria perlomeno per me. E questo lo faccio valere in tutti i campi, anche per una questione di rispetto col pubblico: si vede se uno si arrende o non ha voglia di portare avanti qualcosa.

E tu non ti sei mai arresa nemmeno a Tale e Quale Show, dove i giudici non erano sempre teneri con te.

Erano anni che volevo partecipare. A volte si è tentati di accettare alcuni lavori solo perché si è pagati bene, io però sono purista: faccio quello che mi appassiona, anche se è difficile. Tale e Quale sicuramente lo era: cantare in diretta con una maschera addosso è complicatissimo. Sì, i giudizi non erano sempre a “livelli pari” per tutti, quello dispiace un po’. Ma il ciclismo mi ha insegnato ad andare oltre e sfidare anzitutto me stessa: mi sono molto divertita e ne ho tratto buone cose, compreso il rapporto con tutti gli altri concorrenti, c’era un clima molto bello.

A proposito di rapporti coi colleghi, settimana scorsa Angela Melillo invece ha detto che la vostra amicizia è finita perché tu  avevi detto che avevate partecipato insieme a un corso di sesso. Vuoi replicare?

A cosa mi sarebbe servito inventare una bugia e dire il suo nome, non è certo Julia Roberts! Forse non avrei dovuto chiamarla in causa, ma siccome si trattava di una serata goliardica, dove con altre donne si parlava liberamente del sesso orale, non ci vedevo nulla di male. Eravamo mi sembra nel 2006: probabilmente lei in quel momento si stava separando dal marito, che non vedeva di buon occhio la cosa, quindi ora dice che le ho rovinato la vita facendo il suo nome. Comunque non credo ci fosse nulla di male a partecipare a una serata così.

Chiudiamo con la nostra domanda di rito: qual è la tua città identitaria?

Sono molto legata ad Arona e a quella zona del lago Maggiore, dove abbiamo una casa. Mi appartiene, con le sue salite, poca confusione e un lago enorme, meno mondano ma tutto da scoprire. Milano è comunque la mia città di adozione, quella che ho scelto: bellissima, piccola, adoro i parchi, mi piace correre al Parco Sempione, andare in centro anche coi miei figli. New York è ovviamente un’altra cosa, ma Milano è l’unica città italiana dove un americano potrebbe non sentire troppo la differenza con l’America, a meno che non si decida di fare una vita completamente diversa. Milano offre tanto: musei, spettacoli, la più internazionale. Anche se è sempre più pericolosa e costosissima. E le ciclabili fatte così, con le strisce disegnate per terra… non servono a nulla!

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