“Le radici profonde non gelano”: quante volte molti di noi hanno visto e letto questa frase, magari tatuata su un corpo, magari riprodotta su una maglietta o trascritta su un post social? E quanti ne conoscono la paternità? Forse molti, perché il suo autore è John Ronald Reuel Tolkien, meglio noto come JRR Tolkien. Sì, proprio lui, il papà del Signore degli Anelli (The Lord of the Rings), clamoroso caso editoriale mondiale, opera tradotta in 38 lingue per 150 milioni di copie.
Lui, Tolkien, scrittore, accademico e filologo, moriva il 2 settembre del 1973 a Bournemouth nel Regno Unito, esattamente 50 anni fa, mentre la prima edizione italiana del Signore degli Anelli uscì 3 anni prima, nel 1970.
Perché è così importante, di là dal pur importante successo editoriale e dal genere “fantasy”, categoria fin troppo angusta per quello che fu uno scrittore, accademico e filologo e studioso accanito? Perché, come ha detto il Ministro della Cultura Gennaro Sangiuliano, Tolkien è stato «soprattutto creatore di mondi inventati nei quali, però, si realizzano valori eterni», aprendoci «il cuore alla visione di qualcosa che va oltre la prosaicità del quotidiano. Simboli universali e senza tempo, valori che ci sussurrano dentro». Perché, come afferma Edoardo Sylos Labini, «con Il Signore degli anelli ha creato quel senso di comunità e d’identità fonte d’ispirazione per molti. La Compagnia dell’anello sconfiggerà sempre il Male».
Ecco perché “le radici profonde non gelano”. Con la sua opera letteraria e accademica, Tolkien ci ha dato qualcosa di antico e attuale insieme, un po’ come un altro grande scrittore, Lovecraft, anche se su un versante letterario così diverso e purtuttavia affine.
I principi che Tolkien ci ha reso – e ha reso – immortali sono qualcosa di archetipico, qualcosa che ci appartiene anche se non lo sappiamo, che attraversano il tempo e lo spazio, di generazione in generazioni e che sono rappresentati dal senso della comunità e dell’identità, ma anche dalla solidarietà umana e dalla difesa della natura.
Oggi poi è un doppio anniversario: Lo hobbit o la riconquista del tesoro, il romanzo che precedette Il Signore degli Anelli, uscì in prima edizione italiana proprio 50 anni fa per Adelphi, in ottobre, un mese dopo la scomparsa di Tolkien.
Qual è oggi l’eredità di Tolkien? Sicuramente la sua capacità di vedere nel mito una chiave di decrittazione della contemporaneità, ispirazione culturale che qui in Italia è stata in parte ripresa col mitomodernismo negli anni 90 e Duemila. Tolkien fu insensibile al canto delle sirene della moda (letteraria) e anche questo è un insegnamento valido ancor oggi: non farsi circuire dalle mode culturali, non farsi abbattere dalle critiche faziose.
Il suo fu qualcosa di simile allo “streben” romantico, la tensione estetizzante alla salvaguardia della Bellezza in un mondo che l’ideologia e l’opinione schiava dell’ideologia abbruttiscono.
50 anni sono tanti e crediamo che di tempo ne sia passato abbastanza per non avere più dubbi sulla centralità di questo che è stato non solo uno scrittore, non solo un professore, non solo un inventore di mondi, ma anche e soprattutto un ricercatore di Bellezza, che ci ha insegnato ad essere nel mondo e a riconoscere il nostro posto in esso, nel rispetto della natura, della tradizione e dell’identità. Ecco perché è straordinariamente attuale. Ecco perché “Le radici profonde non gelano”.