Appena qualche decennio fa, quando venivano meno quelle ideologie che avevano segnato tragicamente il secolo XX, c’è stato chi ha tematizzato la crisi della modernità.
Ma oggi non è più tanto di crisi che si parla, bensì di decadenza, una decadenza che si misura nella senescenza della nostra civiltà, prima ancora che nei dati macro e microeconomici o negli indici demografici al ribasso. La crisi economica è, infatti, non più congiunturale, ma strutturale. Il crollo della natalità prefigura per il futuro un tracollo della popolazione europea che sembra irreversibile.
Qualcosa che ricorda vagamente la fine dell’Impero romano.
Il globalismo intanto dichiara apertamente guerra ai confini e alle identità, impone l’esercizio del commercio di manodopera a buon mercato sotto forma di solidarietà e accoglienza indiscriminata. Confida alle ONG la politica migratoria degli Stati. Poi, nella pragmatica economica stritola gli uni e gli altri nel tritacarne dell’interesse e del tornaconto. E quando una pandemia si abbatte sul pianeta, mietendo vittime e devastando l’economia, essa non incide allo stesso modo su tutti e dappertutto, perché per alcuni si trasforma addirittura in un business, per altri invece dà la misura della decadenza totale: morte e miseria, come ai tempi delle pestilenze medievali.
In tutto questo la nostra democrazia, che Churchill definiva la peggior forma di governo ma la migliore finora, denuncia contraddizioni profonde. Il potere delle lobbies finanziarie globaliste, delle banche, dei potentati economici e dei networks è tale da condizionarla ampiamente, se non manometterla. Insieme forgiano una nuova dittatura, quella del politically correct, che arriva fino a vietare espressione a chi giudica, a torto o a ragione, pericolosi per il sistema. Si delinea un contrasto stridente fra il mito del mondo libero o liberato e la sistematica estromissione e restrizione delle libertà di espressione e di pensiero.
La società aperta ostracizza chi non ci sta. Sostituisce il bando morale alla discussione sul merito. Il confronto si risolve ormai nella delegittimazione dell’avversario, per cui una buona metà degli elettori sono assimilati ad una sorta di minorati civili, guidati da esagitati ed incapaci di giudizio critico. Nel frattempo l’esercizio della sovranità popolare avviene sotto vigilanza, per cui anche nel più grande paese democratico del mondo calano ombre sinistre sull’esercizio del voto. Cosicché si stabilisce, come preconizzava Augusto Del Noce già 40 anni fa, “una contraddizione palese tra l’umanitarismo teoricamente professato e lo spirito di disumanizzazione praticamente attuato”.
La cortina di ferro che separa schieramenti e tipi antropologici si assottiglia nel momento in cui si chiama tutti all’esercizio del potere di acquisto, alla partecipazione al convito consumistico.
Di fatto, l’ultima linea difensiva ideale della democrazia occidentale si riduce alla narrazione retorica e ossessiva della “società tollerante”, inclusiva e permissiva. Essa attraverso le vie della strategia gramsciana di conquista del potere in Italia ha pervaso cultura e scuola, forgiando “un nuovo senso comune”, attraverso cui si è realizzato un totalitarismo morale finanche più coercitivo e pervasivo.
E’ una strana mitologia manichea che alla ricerca della verità ha sostituito un mito, per cui ci sarebbero due atteggiamenti fondamentali: la volontà di limitare l’avvenire e la volontà opposta di affermare il primato del futuro sul passato (il mito del progresso).
Ma è ormai un bozzolo vuoto. Perché quell’ideologia sopravvive solo nelle forme affievolite e melense di un’ideologia del bene, nella retorica dell’amore contro l’odio, della tolleranza contro i muri. Cosicché un potere culturale di sacerdoti strettamente osservanti del mito progressista continua a governare i giornali, ad influenzare le case editrici, a condizionare le emittenti televisive, a selezionare le fonti della storiografia, a manipolare il passato, a diffondere e smerciare concetti e preconcetti andati a male.
Ma si gioca sulla difensiva, avendo fallito nel progetto di un mondo nuovo. Pertanto, la democrazia dei benpensanti si riduce a forma politica dell’assenza di verità, a liquidazione dell’esistente, gestione di un potere senza fantasia. E questo lo si vede tanto più in Europa, in cui il relativismo, nel segno di un’unione senza identità, si sposa con l’affarismo, con il potere delle lobbies burocratiche, bancarie, finanziarie.
La rivoluzione – scriveva Del Noce – “si è risolta in dissoluzione”. Impazza, quindi, in negativo, più che in positivo, mordendo gli avversari a suon di imprecazioni, istituendo un totalitarismo, che maschera la violenza e l’intolleranza col rispetto esteriore delle leggi e delle istituzioni