Giovanni Gentile, l’attualismo come via della rinascita

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ilgiornale.it

Ci sono giorni in cui la teatralità delle vicende quotidiane ci avvolge a tal punto da farci sentire spettatori della nostra vita. Sic stantibus rebus, sembrerebbe davvero l’atteggiamento più adatto da perseguire nella società dell’uomo tecnologico, ormai divorato dalla sua poltrona e abbagliato dalle continue invenzioni consumistiche che ne costituiscono la principale causa di alienazione.

Avvolti da un’atmosfera di arrendevolezza, cediamo alla tentazione di restare comodamente seduti in platea mentre il fotogramma della storia scorre davanti ai nostri occhi.

In quest’ottica conferiamo al passato un carattere quasi fiabesco, fatto di azioni cristallizzate e poste in una teca di vetro, mentre guardiamo al presente come una lunga attesa della fine dei tempi.

Avvertiamo la frattura tra prima e dopo, credendo che la storia sia giunta al suo epilogo e che non ci sia più nient’altro da aggiungere. Riteniamo che sia stato fatto già tutto, ci sentiamo arrivati.

Proprio in questo clima di comodità sociale, dinanzi ad un Occidente fasciato nel tepore di uno stato di inerzia, si fa sempre più forte la necessità di offrire il proprio contributo per dare origine ad un terremoto.

Occorre ripartire da un individuo “sovrano di se stesso”, come afferma Emanuele Ricucci, riportando l’assopito uomo Occidentale alla consapevolezza di essere un ingranaggio all’interno della grande macchina della storia.

Un ingranaggio è parte integrante di un processo, capace di determinarne il destino.

Dobbiamo riscoprire un atteggiamento che guardi alla storia non come distinzione tra prima e dopo, ma come totalità di un tempo che è eterno ed eterno divenire.

In questo percorso, è Giovanni Gentile ad indicarci la via maestra. Padre dell’attualismo, “uomo dell’irrazionalizzazione dell’hegelismo”, il Professore seppe cogliere i segni di un tempo di decadenza, in cui l’Italia – e l’Occidente – necessitavano di una spinta dal basso che ne risollevasse le sorti dal tremendo periodo di crisi politica, economica e sociale.

Dobbiamo riaccendere la miccia di quel dinamismo che, in maniera dirompente, infranse la staticità del sostantivo per renderlo verbo, trasformando il “pensiero” (ormai ridotto ad oggetto di dissezione) in “pensare”. È giunta l’ora dell’autoctosi.

Nel caos della società aperta, che rompe violentemente ogni confine, dobbiamo riaffermare lo Spirito: “principio della vita e da cui ogni realtà germoglia”, esso riporta l’ordine autodeterminandosi ed autogenerandosi attraverso gli eventi e la storia.

È questa l’ora della scelta, occorre reagire. Ciascuno di noi deve dare il proprio contributo, affinché si alimenti una battaglia culturale soprattutto contro l’inerzia di chi continua a condurre un’azione di governo priva di accenni al futuro e basata sul nuovo modello “conserva la pelle, consuma, crepa”.

Occorrono idee, proposte, soluzioni e iniziative. Servono operosi volontari che soffino sul fuoco della lunga tradizione culturale che ha reso grande la nostra Patria.

Dobbiamo rivestirci di vitalità e riprendere quella febbrile voglia di assalto alle stelle, per essere ricordati come la generazione che ricostruì il Paese. Lo dobbiamo a noi stessi, ai nostri padri e a quanti verranno dopo di noi.

C’è un momento in cui, nell’eterno rigenerarsi della storia, la partita si azzera ex abrupto e le carte vengono mescolate nuovamente nel mazzo. Siamo sempre gli stessi, eppure, improvvisamente tutto deve cambiare. Quel momento è adesso.

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