L’Italia, è davvero una Nazione?

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Monumento a Massimo D'Azeglio. Fotografia di Giuseppe Caiafa, 2011. fote FB @MuseoTorino150

Qualcuno disse che “ la storia la scrivono i vincitori” mescolando il vero, il parzialmente vero, il verosimile e anche un po’ di finzione ove serve. Basti pensare al racconto della battaglia di Qadesh del 1275 a.C. di cui ancora si ignora il vero vincitore poiché Ramses II e Muwatalli si dichiararono entrambi trionfatori agli occhi della storia. Più tardi, nel V secolo a.C, Erodoto e Tucidide inaugurarono il loro concetto di storia: documentazioni scritte ma anche orali, con riflessioni personali e intarsi per il primo, tanto da risultare più uno storiografo che uno storico; narrazione più critica e razionale, quasi scientifica per il secondo. Benedetto Croce diceva che “un popolo è la sua storia” ma noi possiamo aggiungere senza ombra di smentita che la storia non è granitica, è un continuo essere in fieri che si ripete ciclicamente perché sono gli uomini che la vivono con i loro vizi e le loro virtù che travalicano i millenni. La patria è una motivazione che conferisce da sempre ai popoli sicurezza e coscienza di identità, a maggior ragione nei momenti di crisi più o meno profonda.

Il 17 Marzo del 1861 veniva proclamato il Regno d’Italia liberando il sud dallo “straniero invasore”. Ma era davvero così disastrato il Regno delle due Sicilie con i Borboni rispetto al Regno di Sardegna dei Savoia? Era davvero così arretrato come secondo il sentire comune? Per giudicare dovremmo innanzitutto contestualizzare i nostri parametri rapportandoli alla seconda metà dell’Ottocento europeo. Sarebbe poi doveroso rammentare che il Regno di Sardegna rischiava il fallimento a causa delle guerre dispendiose sostenute e dei debiti ingenti. Sarebbe opportuno, per onestà intellettuale, parlare del drenaggio di oro e capitali che si mossero da Sud a Nord e sarebbe utile che tutti gli italiani sappiano che nel deposito aurifero della Repubblica c’è lo stemma del Regno delle due Sicilie impresso sul 70% dei lingotti. È onesto affermare che il Sud contribuì a risolvere i problemi del Nord Italia e solo rendendo giustizia alla storia si può cominciare ciò che Massimo D’Azeglio chiedeva: “L’Italia è fatta, adesso bisogna fare gli italiani”. Perché dico cominciare a fare gli italiani quando sono trascorsi oltre 150 anni dall’unificazione dell’Italia? Perché ogni giorno ci chiediamo se l’unità d’Italia oltre ad eliminare i confini interni, radico’ progressivamente nel popolo il concetto di nazione. Toccante la festa della bandiera, le facciate illuminate dei monumenti nazionali, il volo delle frecce tricolore, l’inno nazionale con la mano sul cuore ma gli Italiani nascono a “fratelli d’Italia” e muoiono a “l’Italia chiamò”. I fratelli, da Aosta a Trapani, inutile negarlo, non ci sono ora e non ci sono mai stati. Nel Nord dello stivale continua a serpeggiare un’insofferenza malcelata nei confronti del Sud: “parassita per mentalità, terrone, mafioso e sfaticato”. Il Sud è accusato di apportare poco e nulla all’economia più florida del Nord; le regioni più ricche vorrebbero tenersi più soldi per sé e godere di privilegi economici e sociali nei confronti della palla al piede meridionale. D’altronde se gli stessi dati INPS fotografano un paese spaccato in cui il centro-sud percepisce oltre il 75% di redditi e pensioni di cittadinanza a causa di disoccupazione, inoccupazione e politiche del lavoro assenti o fortemente carenti, si comprende perché il Mezzogiorno continua ad essere percepito come una cancrena e una zavorra. Il Sud, dal canto suo, accusa di essere stato conquistato come una colonia, forzato col sangue ad un’unità che ha avuto più l’amaro sapore della sottomissione a suon di furti, tasse e imposizioni. Il Sud accusa Vittorio Emanuele II di essere subentrato ai Borboni con una ferocia condannata addirittura dagli inglesi del tempo e senza aver mai messo piede nei territori del Mezzogiorno gli rimprovera di aver sostituito i dialetti Italo-meridionali e il “napolitano” con l’italiano…. proprio lui che parlava solo in lingua francese. Il risentimento è quello di una terra che parla di abbandono a 360 ° e si sente storicamente defraudata e semplicisticamente bollata comeN “Questione Meridionale”; una terra in cui gli uomini che si opponevano a Garibaldi furono etichettati come briganti. Il Sud lamenta storica disattenzione e disparità economica e sociale. Indipendentemente dalle posizioni contrastanti in questa diatriba infinita, è indiscutibile e incontestabile un Paese afflitto da un infinito campanilismo, diviso in miriadi di piccoli feudi in guerra. Ci sono migliaia di paesi in cui ci si guarda con rivalità e sospetto anche se si abita in contrade diverse. I Fratelli d’Italia purtroppo non sono che una mera e falsa invenzione in quello che potrebbe essere uno dei Paesi migliori del mondo, incastonato come una gemma nelle tiepide acque del mare nostrum, culla della civiltà occidentale. Esiste un confine invalicabile e invisibile tra un Nord più sviluppato e un Sud condannato a fare la “sanguisuga, pizza e mandolino”. Il divario economico e sociale non è mai stato risolto né attenuato colposamente o dolosamente da oltre 150 anni di governi post-unitari……… e allora poiché “historia magistra vitae”, nasce spontanea una provocazione: non sarà per caso anche comodo e vantaggioso per il controllo centrale preservare lo status quo di un’ Italia a più velocità in cui si alimenti l’odio e la disgregazione? Una forbice del distacco dilatata costituisce un fertile terreno per certa politica banale e qualunquista di basso profilo. Quando si riesce a distrarre l’interlocutore si possono preservare privilegi inaccettabili per una comunità unita, attenta e consapevole. D’altra parte si sa : “Divide et impera” poiché “Viribus unitis”….

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