Combattere alza le difese immunitarie. Ma sì, funziona così. Non penso solo a d’Annunzio, penso anche a san Benedetto, al capitolo iniziale della sua “regola”, a quel “combattimento spirituale” che imponeva ai monaci (che provarono perfino ad avvelenarlo per la troppa intransigenza), a Cristina Campo, che curava il difetto biologico del muscolo cardiaco leggendo i poeti e aspettando animosamente la domenica, trasparenza nel mondo del “giorno senza tramonto”.
Di sicuro non li avremmo visti nascondersi dietro a una mascherina. L’avrebbero messa negli ambienti proprio troppo promiscui, perché abituati a un clima meno pesante e per evitare il linciaggio, ma poi via subito, e respirare aria, respirare respirare. Via nei boschi, via sulle ali di un biplano, in alto, in alto.
Ho l’impressione che il Covid faccia tanta paura perché di ossigeno ce n’è già così poco nel mondo. Da decenni. È uno stillicidio di piccole morti quotidiane per asfissia. Rinunciare a innamorarsi di un’idea grandiosa e non banalmente, biecamente spendibile. Rinunciare a inseguire il grande stile. Avere paura (o calcolare che non è il caso) di parlare di onore, l’innocenza massima dell’esistenza: volere la vittoria del proprio miglior io. Trattare Nietzsche da caso umano invece che da cantore dell’uomo splendido, supremo, innamorato della bellezza. Prediligere gli scarti della sua filosofia passionale e agitata, usarli solo per dire no. E scrivere libercoli, ed escogitare opinioni snervate, e perdere le giornate in calcoli, trappole, meschinità.
Questa vita così come ce la fanno vivere è uno schifo – e non lo puoi neanche dire, neanche a te stesso. Tiri avanti facendo economia di tutto, nascondendoti nell’inerzia, facendoti aspirare via dalle cose, dalle istituzioni, dal ritmo di obblighi minuscoli. Scappi, ma a correre troppo il respiro si spezza.
Ed eccole, le famigliole ‘responsabili’, mamma, papà e due figli, un maschio e una femmina, tre anni circa di differenza, il Maalox in borsetta, un cane, un archivio per le dichiarazioni dei redditi e i documenti del catasto, una pagina Instagram per dire “io”. Anche se passeggiano dove si rompono le onde e l’aria è leggera è elettrica è viva, viene da lontano, hanno tutti la mascherina sul muso, androidi tristi che fanno finta di non sapere quanto è duro il legno degli alberi per quelli che ci vanno a sbattere in moto, quanto è duro l’asfalto quando ci cadi lungo disteso sopra, e gli spigoli delle scale, e la punta degli aghi delle siringhe della flebo.
Appena allentato il lockdown da neanche una settimana, ho letto il titolo di giornale più mesto dell’universo: “Si schianta in auto andando al lavoro”. Due mesi di ombra e aria stantia per poi finire così. E ci dicono ancora di non pensare che la morte, il suo mistero, il mistero, è così grande e così imprevedibile e che si deve per forza cercare con il massimo coraggio una risposta viva.
Ci dicono di metterci una mascherina su. Magari a pois. Magari con i Gormiti. Poveri ultravigliacchi del futuro. Ci dicono di non baciarci per mesi, anni – ma cosa stiamo a fare qua se non a batterci per meritare un bacio?
Non sto proponendo in cambio una mattanza. Gli sputacchi virulenti limitiamoli. Mettiamo la mascherina nei negozi o negli uffici, che sono malsani da sempre. Ma per strada no, in spiaggia no, dove c’è l’aria buona no. Questi figli che mi tengo e mi tengono per mano vorrei portarli a cercare l’ossigeno. Dell’imprevedibile, del coraggio, della bellezza, della verità, dell’amore. Tutte cose per cui c’è da combattere. Ce la faremo? Dobbiamo farcela. Dobbiamo.