Perché Nazione e cultura nazionale fanno la civiltà

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Perseo di Macedonia inginocchiato di fronte a Emilio Paolo, dipinto di Jean-François-Pierre Peyron (1802), Pubblico dominio, commons.wikimedia.org

I sociologi le hanno sempre chiamate motivazioni affiliative: sono il bisogno di far parte di un gruppo sociale che assicura aiuto e senso di protezione. Il concetto affiliativo per eccellenza è la patria e il pensiero corre ad Alessandro Manzoni che, dopo l’esperienza storica della rivoluzione francese, esprimeva “…una d’arme, di lingua d’altare, di memorie, di sangue, di cor…”

Un territorio non è nazione perché racchiuso in confini geografici e politici ma solo quando c’è un popolo che si riconosce come tale, un popolo con un patrimonio comune di cultura, lingua, vita civile e morale. La Nazione è una comunità di condivisione ma quest’idea romantica di appartenenza, dopo 200 anni, sta sfumando per cedere il passo a un’idea politica considerata affascinante e ormai sulla bocca di tutti: la globalizzazione. La globalizzazione è stata confusa con la modernità, con l’unico modo possibile di vivere civile, come se il progresso, la crescita economica, sociale e culturale debbano necessariamente passare per l’appiattimento, per l’annullamento di ciò che siamo e che è stata la nostra storia, anche quella buia di cui non andare fieri e di cui chiedere scusa al mondo.

In Italia ci sono quasi 8000 comuni che non riescono ancora a creare una vera identità di popolo e vivono una disgregazione che affonda ancora le radici nelle fortissime nazioni esistenti prima del 1861. L’identità della cultura è l’unico lascito testamentario che può far saltare l’ostacolo della frammentazione e conferire forza e unità a un popolo. La valorizzazione della cultura e dell’identità prescindono dalle correnti politiche che si avvicendano alla guida degli Stati. La politica seria non dovrebbe distruggere, essere annullamento delle radici, cancellazione delle tradizioni e della memoria. Già Socrate affermava di sentirsi cittadino del mondo ma sicuramente oggi lo siamo un po’ tutti in modo reale o virtuale. E’ un mondo che stiamo elaborando e costruendo in senso “moderno”: senza barriere fisiche e culturali. La coesistenza delle culture e delle tradizioni di popoli diversi sullo stesso territorio è una realtà acclarata che può e deve essere fonte di arricchimento reciproco senza diventare né prevaricazione degli uni nei confronti degli altri né necessità di omologazione reciproca. L’Italia è da sempre simbolo storico per eccellenza di questo mosaico, una collana di cui ogni angolo è una perla frutto dell’eredità di secoli di storia. Il nostro Paese, insieme alla Grecia, rappresenta senza dubbio alcuno le fondamenta dell’Occidente: una culla complessa in cui diverse civiltà ricchissime si sono compenetrate e hanno contribuito a creare un crogiuolo di arte, lingua, abitudini, gastronomia, poesia, gusto che hanno generato uno stile unico di ricercatezza e bellezza, uno stile che si lascia ammirare imponendosi pur senza imporsi. L’Italia non è solo un abito prezioso ma la personalità che riempie quell’abito. Se gli italiani e i loro rappresentanti a tutti i livelli volessero pensarsi consapevoli della loro comune identità e della loro cultura, se smettessero di elaborare o di omologarsi a modelli asettici in cui si è parti intercambiabili e prendessero consapevolezza dei tesori che formano l’italianità, questa terra, ad ogni anfratto, sarebbe una miniera, un “genius loci” di sapere, tradizione e radici di incomparabile bellezza. La disgregazione del concetto di Nazione e di cultura nazionale uccide la civiltà, la diversità, la riconoscibilità e ci rende senza volto.

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