“Quando vidi Vauro e Vincino imbarazzati in redazione…”

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Alessio Di Mauro, tra i più importanti vignettisti di destra in Italia, si racconta a Off.

Come è iniziata la tua carriera?

È iniziata in quel clima di vivacità intellettuale dell’inizio degli anni ’90 quando la cultura della Destra sembrava poter uscire finalmente da mezzo secolo di ghettizzazione. Fulcro di quel fermento era la redazione dell’Italia Settimanale di Marcello Veneziani. Inizia lì, per poi partecipare all’avventura de La Peste con la quale la satira non conformista si riaffacciava finalmente al grande pubblico. Mi ricordo i primi numeri de La Peste, inimmaginabili in questi nostri tempi di editoria cartacea agonizzante. Numeri che facevano paura a Cuore

Come vedi la situazione attuale della satira in Italia?

Io ho avuto la fortuna di vivere il colpo di coda dell’ultima stagione aurea della satira. Oggi mancano le condizioni fondamentali che consentono l’affermazione di questa nobile arte la quale, fin dai Saturnali, ha sempre avuto una funzione catartica tesa, in fondo, a riaffermare la dimensione seria e sacra dell’esistenza nella quale dovrebbe muoversi la politica. Quando la politica sconfina dal terreno etico che gli è proprio ed inizia ad occupare il campo della satira assumendone linguaggi e stilemi, quest’ultima è spacciata. Detto in modo più chiaro, se hai di fronte leader e ministri come Grillo o Toninelli è dura: difficile fare la caricatura della caricatura. Insomma, oggi i fustigatori dei costumi rischiano l’estinzione per scostumatezza istituzionalizzata.

Ti hanno mai invitato a parlare del tuo lavoro a festival o scuole di fumetto?

Poche volte. Sembrerà incredibile ma ancora oggi nel mondo dei cartoon, e non solo in quello, non avere un pedigree di Sinistra, pur con la Sinistra morta e sepolta ormai da tempo, continua ad essere un peccato imperdonabile. I festival sono preclusi a chi ha una sensibilità altra. Io poi che mi ispiro da sempre al genio “fasciocomunista” di Mino Maccari e del Selvaggio ho la fortuna di essere malvisto sia a Sinistra che a Destra.

Tu dirigi il Candido, la rivista fondata da Guareschi. Cosa significa per te?

Un onore indescrivibile. Parliamo di un gigante assoluto che distillava nel suo lavoro tutti gli elementi tipici della satira di qualità. Però aveva un vantaggio: lui poteva confrontarsi con statisti di altissima levatura e con un pubblico che non era ancora quasi totalmente ridotto a massa di consumatori priva di sensibilità estetica e politica. Oggi la satira fatica ad essere compresa, così come l’arte in generale. E la stessa politica, che ha rinunciato a proporre visioni di mondo ed è ridotta a mendicare consensi a colpi di hashtag e selfie.

Un consiglio che daresti a giovani aspiranti vignettisti?

Di non abdicare mai alla funzione di moralizzazione primigenia della satira scivolando nella comicità bonaria, che riflette lo spirito dei tempi e finisce col diventare piaggeria nei confronti del potere. Castigat ridendo mores, dicevano i nostri padri.

Un episodio OFF della tua carriera?

Risale all’avventura di Par Condicio – la prima testata trasversale della storia, diretta da Massimo Caviglia – che metteva insieme autori di Destra e di Sinistra. Voleva essere un modo per superare gli infantilismi ideologici che portano a trasformare in santini le icone della politica. Ironizzavamo sulle immagini del Che o del Duce stampate sugli accendini. Il Manifesto ci negò gli spazi pubblicitari sostenendo che il Che e il Duce non potevano stare sullo stesso piano. Pura satira involontaria più divertente della nostra. E per una volta vidi Vauro e Vincino imbarazzati in redazione…

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