Quel mecenate e filantropo ucciso in un agguato dei partigiani

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Il Cardinale Pietro Boetto non solo verrà ricordato come l’uomo che toccò il cuore del Generale tedesco Meinhold convincendolo alla resa e risparmiando Genova da ulteriori distruzioni, ma anche e soprattutto per aver salvato centinaia di ebrei italiani dalla deportazione, azione che gli valse il riconoscimento di “Giusto tra le Nazioni”.

Di certo il Cardinale, da una posizione di quasi neutralità rispetto al Fascismo, ne divenne profondo seppur prudente oppositore, a partire dall’emanazioni delle leggi razziali del 1938.

Tuttavia, non sorprenda il fatto che per tutta la vita tenne un rapporto di filiale amicizia con il Generale Silvio Parodi, squadrista della prima ora, influente personaggio del PNF genovese, podestà di Savignone e Commissario prefettizio di Genova, ruolo che ne sancì la tragica fine per mano partigiana il 19 giugno 1944.

Aldilà della sua appartenenza politica, Parodi fu riconosciuto, anche dagli avversari politici, come un mecenate e filantropo, avendo ricoperto per anni il ruolo di Presidente dell’Orfanotrofio genovese S. Giovanni Battista, in buona parte sovvenzionato con il suo patrimonio personale.

Di questa grande amicizia tra i due personaggi, nata negli anni della prima adolescenza sui banchi del collegio gesuita di Montecarlo, con l’allora Don Boetto nel ruolo di insegnante e di Silvio Parodi come allievo, abbiamo prova da alcune corrispondenze epistolari, l’ultima delle quali è proprio in occasione del primo attentato che Parodi subì da un commando partigiano il 17 giugno 1944 in Via Garibaldi.

In quell’occasione il Cardinale scrisse questa lettera che riportiamo fedelmente

“Mio carissimo Generale Silvio, venni ieri sera a conoscenza di un fatto dolorosissimo che profondamente mi rattristò e ancora mi attrista. Se la vita dell’uomo è così sacra e così è realmente, l’attentare ad essa costituisce uno di quegli atti esecrandi che meritano di essere bollati col marchio più nero di infamia. E quest’atto è anche più esecrando se la vittima designata è costituita in dignità. Deploro perciò toto corde il vile attentato contro te commesso e che mi afflisse in modo particolare per l’affetto sincero e grande che a te, come mio carissimo antico allievo, da tanti anni mi lega. Nello stesso tempo, ringrazio il Signore e con te mi congratulo per aver così felicemente scampato il pericolo, ed aggiungo l’augurio e la preghiera perché il Signore sempre te protegat atque ad omni male defendat, come ardentemente desidera il tuo affezionatissimo”

Due giorni dopo, Il Generale troverà la morte in un agguato teso proprio all’interno della residenza di Savignone. Anche da morto, il Generale, con un biglietto manoscritto lasciato alla sorella “nel caso dovessi venire ucciso non voglio venga effettuata alcuna rappresaglia”, dimostrerà di meritare questo affetto e considerazione da parte del suo “maestro” Cardinale Boetto.

(dal libro di Gabriele Parodi e Paola Coraini Ardito in pace e in guerra. Il Generale Silvio Parodi dalla grande Guerra alla Repubblica Sociale Italiana, ITALIA Storica, Genova 2019)

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