Il confronto fra il prima e il dopo è uno dei modi migliori per capire qualcosa del mondo. Così guardiamo al nuovo romanzo di Elena Guerri dall’Oro, «Roma Nord. Profondo Nero» (Pioda Imaging Edizioni, pp. 222, € 20), che arriva dieci anni dopo il precedente «Roma Nord» e continua la saga corale della borghesia romana dei «quartieri bene»: Olgiata, Trieste, Parioli. Le tre famiglie de i Giannini, i Tabacci e i Teodori vengono raccontate dalla scrittrice come spaccato di una società all’incrocio con i nodi della storia dei nostri anni.

Il primo romanzo aveva fotografato il clima che aleggiava in quei quartieri durante la transizione dalla Seconda alla Terza repubblica, nell’epoca della crisi di un paese commissariato e ridotto a provincia di più imperi. Quando uscì «Roma Nord» però l’attenzione dell’opinione pubblica era concentrata sugli scandali delle ninfette adolescenti che si vendevano per le ricariche del telefonino o una borsa firmata e del cosiddetto «mondo di sotto». Così il romanzo si focalizzò sulla vita quotidiana di quei quartieri edonisti, dalle auto in strafottente tripla fila fino a situazioni orrende in stile «stupro del Circeo», entrambi figli di un menefreghismo completamente interiorizzato che rende anche quella che dovrebbe essere la classe dirigente del Paese, a tratti distratta e corrotta, eticamente prima che praticamente (cosa che chiude il cerchio con il discorso più ampio dell’Italia ridotta dai potenti padroni oltralpe e oltreoceano a scolaretta che non ha fatto i compiti).
Ora «Roma Nord. Profondo Nero» fa i conti con le malapiante cresciute da quei semi bagnati un decennio prima. «Se un povero ruba, lo fa per fame – ci dice Elena Guerri dall’Oro, parlandoci di questo nuovo romanzo – Se un ricco ruba la sua colpa è senza dubbio maggiore, perché non ha necessità di farlo. È un privilegiato che ha avuto accesso a istruzione, ambienti, reti sociali migliori eppure cade anche lui nei gorghi del vizio. Ma ha meno scusanti». «È quindi una società in picchiata libera se non reagisce» punta il dito l’autrice. «Essendo giornalista ho pensato di prendere spunti dai fatti di cronaca. Se dieci anni fa volevo rappresentare un mondo dorato e gaudente, coi suoi lati oscuri, oggi constato come la sua situazione non sia affatto migliorata. Anzi! Il passaggio da uno stupro, quando tutto intorno scorreva perfetto, raccontato nel primo libro, a un omicidio, in questo, è simbolico di una china discendente».
Il nuovo romanzo infatti riparte ancora una volta dall’attualità. Le protagoniste sono di nuovo Livia, Barbara e Giulia, “il romanzo è come nel suo prequel un racconto corale – continua la Guerri dall’Oro – ci sono storie di separazioni e di riunione, di successi e di tonfi, di famiglie che raccolgono i frutti di ciò che hanno coltivato nel passato. Aggiungo che ho raccontato la media borghesia di Roma Nord, ma qualunque città d’Italia, fosse Lecce o Piacenza, può ritrovarsi in queste pagine». Ma il nodo centrale del libro si stringe attorno a quella che è l’attualità del nostro quarto di secolo: «Viviamo un bombardamento quotidiano del fenomeno del “femminicidio” sui media. Così ho pensato di raccontare una vicenda con al centro un ennesimo caso di “nera” con un uomo che vive forse la sua prima “sottrazione di amore” o di quello che lui interpreta amore, reagendo con quel mix di violenza e inganno all’ultima potenza, essenzialmente di capovolgimento del significato dei sentimenti che dovrebbero unire uomo e donna».
Non c’è tuttavia volontà da parte della autrice di gettare benzina sul fuoco della polemica femminista anti-uomini di questi ultimi anni. «L’Italia resta uno dei paesi più sicuri del mondo per le donne. Tuttavia non si può non restare non colpiti dalle storie che le cronache ci raccontano, in particolare dal fatto che in moltissimi casi la vittima abbia profonda familiarità con l’omicida». Poi aggiunge: «In futuro potrei raccontare l’altra faccia della violenza fra i sessi: quella dei padri distrutti dai divorzi e costretti magari a dormire in auto. Ma non voglio che si pensi che lo farò per motivi ideologici, così come non c’è questa volontà dietro “Roma Nord. Profondo Nero”. Infine non intendo accodarmi alla polemica contro il cosiddetto patriarcato, la cui connotazione benché arcaica, non ha nulla a che vedere con gli episodi di violenta misoginia, uso di sostanze diaboliche e incapacità per alcuni uomini di gestire il sentimento di frustrazione che si trasforma in odio fino alla eliminazione della vittima, dettato dal rifiuto affettivo o sessuale della donna”.