Senza Dante non c’è identità italiana ed europea

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L’esenzione per motivi religiosi di due studenti musulmani di una scuola media di Treviso dalle lezioni sulla Divina Commedia ha scatenato una ridda di polemiche.

Il ministro dell’Istruzione Valditara, disponendo un’ispezione, ha dichiarato che “l’esclusione dal programma scolastico di uno dei pilastri della nostra letteratura, per motivi religiosi o culturali (…), è del tutto inammissibile”. “Ritengo che questa sia una scelta difficile da comprendere perché la cultura è inclusione e integrazione e la Divina Commedia è l’opera cardine della letteratura italiana” ha invece commentato Mario Conte, sindaco leghista di Treviso. E Paola Frassinetti, sottosegretario all’Istruzione e al Merito, ha giudicato assurdo il fatto in sé, perché “integrazione significa anche conoscere la cultura del Paese dove si vive e si studia”. Di “cedimento culturale, etico, morale ed educativo” ha parlato Matteo Salvini.  

Né è il primo caso in cui Dante entra in contrasto con l’Islam, perché i versi del 28° canto dell’Inferno, in cui il Sommo Poeta definisce Maometto “seminator di scandalo e di scisma”, gli sono già costati la censura in diversi Paesi islamici.

Il fatto è che qui entrano in collisione identità culturali e politically correct e s’impone un approfondimento di quella che altrimenti si riduce ad essere una foglia di fico che copre le vergogne di un colossale fraintendimento: l’integrazione. Perché, come ha scritto Camillo Langone su Il foglio, “i capolavori non sono vecchi documenti, sono costanti insegnamenti”. Né la storia è acqua; la storia con il suo carico di verità e di tragedie che si sono sedimentate nella memoria a formare i popoli.

Fa quindi onore a Dante essere motivo di scandalo, perché rende conto di un fatto: la radice cristiana della nostra letteratura e della nostra cultura.

Piantata nel nostro DNA, malgrado secoli di sconfessioni secolarizzanti, essa non è qualcosa che si può grattare via in nome del politically correct né, tantomeno, dell’inclusione. Perché l’inclusione “si fa si fa per aggiunta, mai per sottrazione” (l’ha detto Simona Malpezzi del PD) e perché la fede cristiana è radicata nella nostra sensibilità umana, nella passione e nella spiritualità più profonda. Essa, come scrisse Giovanni Paolo II nell’esortazione apostolica Ecclesia in Europa (28-6-2003), “ha plasmato la cultura del continente e si è intrecciata in modo inestricabile con la sua storia, al punto che questa non sarebbe comprensibile se non si facesse riferimento alle vicende che hanno caratterizzato prima il grande periodo dell’evangelizzazione e poi i lunghi secoli in cui il cristianesimo, pur nella divisione fra Oriente e Occidente, si è affermato come la religione degli Europei stessi”.

Un mondo senza Dio non ha memoria né speranza. È un mondo senza radici; e chi taglia le radici esclude ogni futuro possibile ed ogni mondo immaginabile. C’è solo il baratro del nichilismo. E non è vero che qui in gioco ci sono il rispetto dell’altro e la tolleranza, perché questi sono semmai valori che dal cristianesimo discendono attraverso una lunga e faticosa elaborazione. Cosicché la nostra libertà e la nostra democrazia ne dipendono insieme alla dignità e al rispetto che si devono ad ogni persona al di là delle differenze di razza, religione e sesso. E lo stesso dicasi dei doveri di uguaglianza, tolleranza, solidarietà e compassione.

L’Occidente o è cristiano o non è; nella misura in cui non è più se stesso.

Apostatizzare è un po’ come mutare sesso: si può fino ad un certo punto perché la memoria profonda, quella genetica, continua ad informare ogni singola cellula e riemerge imperterrita nei gangli più vitali, malgrado i bombardamenti ormonali. Cosicché qui è il padre della nostra letteratura e della nostra lingua a dimostrarsi incompatibile.

Quanto poi alla multiculturalità, essa non può significare abbandono e rinnegamento, perdita di punti di riferimento e di orientamento. Integrare non è aggregare. L’integrazione presuppone il dialogo; l’aggregazione l’accondiscendenza. Il dialogo non omologa indistintamente, conservando la differenza di punti di vista; semmai implica la disponibilità ad ascoltarsi e a rispettarsi. L’aggregazione è incondizionatamente una resa.

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