E quelli che okkuparono il Valle ora s’indignano per De Fusco al Teatro di Roma

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Luca De Fusco è il nuovo Direttore del Teatro di Roma. E ti pareva se non partiva la caciara. All’indomani della votazione che ha portato il regista napoletano alla guida del Teatro di Roma, che gestisce i teatri Argentina, India, Torlonia e Valle, ecco puntuale la polemica rumorosa. Ovviamente avanzata dai soliti personaggi, noti per conoscere la parola “democratico” nel nome del partito, un po’ meno nella vita reale. Sono gli stessi che occuparono il Teatro Valle tra il 2011 ed il 2014, trasformandolo in un centro sociale dove si faceva politica e non teatro, privando di fatto i romani e i lavoratori dello Spettacolo di un importante spazio culturale. E se oggi il Valle è ancora chiuso è solo “merito” loro.

Elio Germano, Lino Guanciale, Sonia Bergamasco, Fabrizio Gifuni guidano la rivolta con una lettera di fuoco, firmata insieme ai loro kompagni. Puntano il dito contro il ministro Gennaro Sangiuliano e il presidente della Commissione Cultura della Camera, Federico Mollicone. Minacciano battaglie asprissime, chiedendo a gran voce un’inchiesta parlamentare. Accusano la destra di voler occupare ogni posizione con arroganza.

La ragione ufficiale è che l’elezione di De Fusco sia stata frutto di una votazione fatta in assenza del presidente del Teatro, Francesco Siciliano. Peccato che a creare l’Aventino nel CdA sia stata proprio la quota di sinistra che, sapendo di avere la minoranza (3 voti sono espressione di Regione Lazio e MIC, 2 del Comune di Roma), con un verdetto annunciato aveva già preparato questo can can domenicale da settimane. Unico obiettivo possibile: fare apparire la scelta del nuovo direttore una scelta politica, come se lo nomine fatte negli anni precedenti non lo fossero.

Il problema vero è che a diventare presidente del Teatro di Roma è proprio lo stesso Francesco Siciliano. Lui sì con un passato legato al Partito Democratico, essendone stato vice responsabile nazionale dell’informazione e della cultura per anni.

Guai a toccare cinema o teatri alla sinistra, è cosa loro fin dai tempi di Gramsci.

La polemica fa acqua da tutte le parti, anche per quello che la storia ha raccontato nel passato. A cominciare dalla “vergogna morale e intellettuale” chiamata in causa da Elly Schlein, che dimentica  cosa era accaduto nell’ottobre 2020 in un altro importante teatro italiano. Il CdA del Piccolo Teatro di Milano non riusciva a convergere su un nome che soddisfacesse tutti: per porre fine alle polemiche, la maggioranza di sinistra mise mano allo statuto della Fondazione e furono aggiunti due consiglieri pur di raggiungere il numero legale che consentisse l’elezione di un nuovo direttore. Angelo Crespi in prima linea si batté contro quell’atteggiamento a dir poco prepotente, per essere teneri. Lì però non era “questione di poltrone”, per usare sempre le parole della segretaria PD: l’etica evidentemente, per qualcuno, è solo un concetto di cui riempirsi la bocca quando le cose vanno diversamente da come si vorrebbe.  

La sinistra ora fa le barricate perché il proprio candidato, Ninni Cutaia, non è passato. Luca De Fusco probabilmente non è una figura condivisa come avrebbe potuto essere un uomo della caratura di Marco Giorgetti che era nella terna dei papabili. L’attuale direttore della Fondazione Teatro della Toscana, che negli ultimi 10 anni ha rilanciato il prestigioso Teatro della Pergola di Firenze, facendolo diventare un polo internazionale (in queste settimane in scena ci sono Gabriele Lavia, Bob Wilson e Isabella Rossellini)  sarebbe stato perfetto per le sue già dimostrate capacità di ascolto e attenzione al pubblico prima di tutto e per le sua capacità manageriali.

In ogni caso De Fusco non è esattamente l’ultimo arrivato.

Laureato al DAMS di Bologna, il neo direttore del Teatro di Roma tenne la sua prima regia ormai 44 anni fa. Per lui non parlano solo le innumerevoli direzioni di opere classiche (Pirandello, Goldoni e Svevo su tutti), ma anche quella di importanti kermesse (Ville Vesuviane, Napoli Teatro Festival) e di Stabili (Veneto, Napoli, Catania). Soprattutto un professionista eletto democraticamente dalla maggioranza del Cda anche se non tutti vogliono rispettare il verdetto. Del resto per decenni la cosiddetta egemonia culturale è stata in mano ad una classe dirigente che ha usato i teatri per fare propaganda politica allontanando il pubblico dalle sale.

Forse è giunto il momento di un maggior pluralismo e della restituzione ai romani di alcuni teatri storici da troppi anni abbandonati a se stessi, come del resto è abbandonata – nella gelosa okkupazione della sinistra – la cultura nella Capitale.

Foto: Lalupa CC BY-SA 3.0

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