«Volevate relegarci in Italia e noi ci siamo aperti in Europa, volevate chiudere, contro di noi, i cancelli della vostra fasulla democrazia… ma ricordate: la destra o è coraggio o non è! È libertà o non è! È nazione o non è! Così vi dico adesso: la destra o è Europa o non è! E vi dico qualcosa di più, l’Europa o va a destra o non si fa!!». Così tuonava Giorgio Almirante dal palco del comizio di Roma, a Piazza del Popolo, per le elezioni europee del giugno 1979.
Ben quarantacinque anni fa, quando, con la prima elezione a suffragio universale del Parlamento Europeo, Giorgio Almirante – l’allora segretario nazionale del MSI-DN, Movimento Sociale Italiano Destra Nazionale, – idealizzava, ma ancor di più, credeva fermamente, in un importante e quanto mai ambizioso progetto politico: una Unione Europea che fosse «di destra».
Immaginava infatti una Europa – contrariamente alla vulgata comune di pensare la destra come solo identitaria e quindi intimamente antieuropeista – che fosse una unione di popoli, con le proprie radici fortemente identitarie ma unite da un progetto di sviluppo comune, a difesa delle proprie tradizioni, delle proprie culture, dei propri territori, attraverso un valido disegno di identità comune e di sostegno ai paesi europei più deboli.
Questa visione, ambiziosa e al contempo difficile, immaginava le nazioni europee legate da principi di libertà e di coscienza sociale, presupposti essenziali su cui fondare un valido modello di comunità europea.
Inutile negare che l’evoluzione della nostra Unione Europa è stata altro. Il fattor comune sposato e portato avanti da chi ha governato le istituzioni negli ultimi anni (una sinistra laica, e a suo dire «illuminata») è stata virare su una unione poco politica e molto più economica; dove per «unione economica» si è inteso solo uniformare quei servizi, per lo più finanziari, dimenticandoci di uniformare traguardi sociali, raggiunti in altri Stati da molti anni e non esportati nella nostra Italia. Al contempo, l’unica visione politica comune che le istituzioni europee hanno cercato è stata quella di sposare un ambientalismo miope (e, sia consentito dire, al contempo dannoso per economie più fragili come la nostra) tralasciando ben più importanti politiche sociali e identitarie.
Avremmo dovuto ricercare e disegnare una identità europea di cui il mondo ha bisogno. Pensiamo – ad esempio – di cosa avremmo potuto fare come Unione Europea, esportando, fuori dal nostro continente ai nostri continenti confinanti, una idea di cristiana convivenza e di rispetto (fondamenta su cui si reggono le democrazie dei paesi europei, con buona pace di chi non ha voluto le «radici cristiane» nei documenti fondativi dell’Unione) e di cui, mai come oggi, sembra sentirsi la profonda mancanza, in questo mondo dilaniato da conflitti.
Purtroppo, ci siamo concentrati su altro, siamo stati in questi ultimi anni solo sommersi di direttive e di regolamenti, che hanno avuto, per lo più come unico obiettivo, quello di uniformare e costruire un mero modello finanziario, svuotato di contenuti e senza mai lavorare e costruire un modello di Europa che portasse ricchezza e prosperità per le fasce più deboli.
Alla luce di ciò, mai come oggi è attuale il pensiero di Giorgio Almirante in ottica europeista. Molto interessante è rileggere l’estratto di un discorso (del 4 marzo 1980) alla Camera dei Deputati. In questo estratto troviamo una ferma presa di indirizzo politico nei riguardi del governo italiano in sede di approvazione del bilancio europeo, stigmatizzando la posizione di Roma a tutela degli interessi nazionali sino ad allora violati o sempre disattesi.
Discorso quanto mai attuale, seppur passati oltre 40 anni. Indirizzo politico che se fosse stato seguito con lungimiranza ci avrebbe risparmiato anni e anni di ritardi nella crescita della nostra nazione: «Sono un convinto europeista – disse dunque Almirante – e sono tale proprio perché rimango un nazionalista italiano. Non credo che il nazionalismo degli anni ’80 possa chiudere le porte all’europeismo; al contrario, credo che le debba aprire; credo che l’idea di nazione debba essere un ponte verso l’Europa. Il che non mi impedisce di percorrere il ponte, qualche volta anche a ritroso, e di ritrovarmi sulla mia sponda italiana, nazionale, nazionalistica, rammaricandomi di dovere, in sede europea, censurare il governo del mio paese. È un governo nemico all’interno del mio paese, ma che vorrei poter considerare come il governo del mio paese e basta».
«Lo scorso anno, noi tutti abbiamo fatto la campagna elettorale europea invitando gli italiani a votare, a partecipare alle elezioni. E quale è stata l’argomentazione non di noi missini, ma di tutti i candidati, salva rara eccezione, dovuta pia a incompetenza e superficialità che a convincimento contrapposto? Abbiamo detto: “Italiani – e soprattutto italiani del Mezzogiorno, dell’area tipicamente mediterranea – come parlamentari italiani, di maggioranza e di opposizione, non siamo riusciti a risolvere i vostri problemi, in molti casi neppure ad affrontarli: colpa nostra, di tutti quanti noi, del sistema che non funziona, della partitocrazia, dei governi che hanno operato in maniera negativa, ma anche di una situazione obiettiva che non consente a un popolo, come quello italiano, con tante braccia e con scarse risorse, di poter da solo, o quasi da solo e comunque nella propria area risolvere i problemi. Dicevamo tutti lo scorso anno che il nuovo parlamento europeo sarebbe stata la sede nella quale i problemi del popolo italiano avrebbero potuto essere finalmente affrontati e avviati a soluzione, attraverso intese che consentano al popolo italiano di partecipare, con pienezza di responsabilità, alla Comunità Europea, non più nel ruolo di sacrificati, di cenerentole di sempre, ma nel ruolo di protagonisti, di propulsori, ma anche di beneficiari di una solidarietà europea che dal piano meramente politico e ideologico passi al concreto terreno della socialità e dell’economia”. Che cosa è successo in sede di redazione del bilancio europeo da parte del Consiglio dei Ministri? C’è stato il vostro assenso… Non è accaduto che al Parlamento europeo si sia presentato un rappresentante del governo italiano ad esprimere il proprio dissenso o le proprie riserve, in blocco o parziali».
Parole dure, che la marginalizzazione, la conventio ad excludendum che aveva ghettizzato il Movimento Sociale Italiano durante la Prima repubblica aveva fatto pressoché cadere nel vuoto. I decenni seguenti sono stati caratterizzati da una sistematica assenza dei nostri rappresentanti dalle istituzioni europee se non – come con l’apparizione di banchieri «italiani» – quando s’è trattato di fare interessi del tutto opposti a quelli del popolo a cui, giusta la Costituzione, dovrebbe appartenere la sovranità. Oggi che la destra, finalmente è al governo del paese e la fatwa contro la Fiamma è stata avviata all’immondezzaio della storia, le parole di Giorgio Almirante hanno la possibilità di tornare di quella attualità che le può rendere stella polare di una politica europea e italiana, con i due aggettivi finalmente nella stessa frase.