“Purché non sia italiano…” sembra essere il presupposto preliminare da abbracciare con forza prima di cominciare una qualsiasi ricerca nell’ambito della cultura passata (o anche presente), che sia essa storica, filosofica, artistica o scientifica. L’italianità negli ultimi tempi viene sentita sempre più come qualcosa di cui andare poco fieri, o nel peggiore dei casi, motivo di vergogna da censurare e su cui passare oltre in favore di altre amenità.
Questo latente e diffuso atteggiamento di disprezzo nei confronti del nostro Bel Paese e di ciò che ruota intorno ad esso viene messo in atto paradossalmente dagli italiani stessi; purtroppo ciò favorisce e ha favorito in passato un’invadenza prepotente perpetrata dagli altri Paesi, europei e non, che, approfittando di tale debolezza e scetticismo egoriferiti, hanno colto e colgono senza pudore la palla al balzo per attribuirsi, a torto, molto di quel nostro patrimonio che a casa non sappiamo valorizzare o nel peggiore dei casi ignoriamo del tutto.
Ultimo caso recente che rientra in questo genere di follie predatrici rimanda al nome di Cristoforo Colombo, che secondo alcuni ricercatori spagnoli non sarebbe nato a Genova ma in una zona del Mediterraneo occidentale diversa, probabilmente la Spagna. Questo perché, a seguito dei risultati di uno studio spagnolo dall’Università di Granada condotto dall’esperto forense Miguel Lorente, si è venuti a conoscenza del fatto che sia il DNA di Colombo che quello del figlio Hernando presentano tratti compatibili con un’origine ebraica sefardita. E fin qui, sembrerebbe tutto abbastanza pacifico se non fosse per il prosieguo bizzarro di questa scoperta genetica: secondo i ricercatori, siccome a Genova e nell’Italia del tempo gli ebrei non sarebbero stati poi così numerosi, è lecito inferire che Colombo non sia nato a Genova o in Italia ma in un’altra parte del Mediterraneo, probabilmente la Spagna, che all’epoca mostrava una presenza più significativa di ebrei sefarditi.
Questa ipotesi potrebbe anche essere contemplata se non avessimo fonti in merito alla vita di Colombo; corre dunque obbligo sottolineare a questi studiosi spagnoli che è il navigatore stesso nel suo testamento, redatto in lingua spagnola il 22 febbraio 1498 nell’attuale Panama, ad affermare di essere nato a Genova: “siendo yo nacido in Genova”.
Questo importante documento è stato esposto nel Palazzo Ducale di Genova nel 2017 in occasione della mostra “Io qui sottoscritto. Testamenti di grandi italiani”, realizzata dal Consiglio Nazionale del Notariato.
Il Consiglio all’epoca per amor di verità volle ribadire che “il documento di Colombo dovrebbe mettere definitivamente fine a polemiche e discussioni che vanno avanti da secoli e che in questi giorni sono tornate di attualità: Colombo era genovese, non spagnolo, non portoghese”.
Con ingenuo ottimismo il Consiglio non teneva in considerazione che c’è ancora chi dopo Galileo continua a fare scienza senza contemplare l’evidenza dell’esperienza. Ma l’altra domanda che sorge spontanea è: perché l’appartenenza genetica compatibile (non certa, compatibile…) col ceppo sefardita dovrebbe essere in contraddizione con la sua nascita a Genova?
Tanti sono gli interrogativi di fronte a queste depredazioni colme di arroganza e fallacie sia metodologiche che contenutistiche. Lo “studio” spagnolo fa riecheggiare purtroppo casi un po’ più remoti di veri e propri comportamenti predatori che hanno fatto diventare Marco Polo così come Sisto V o Giulio Clovio croati – ricordiamo la mostra di Zagabria per il Trentennale dell’Indipendenza. – oppure Leonardo da Vinci francese, così definito qualche anno fa dal tg France 2. E ovviamente ci sarebbe anche da dire due parole su Napoleone, che volle farsi francese, ma che i francesi che lo detestavano, lo chiamavano l’italien per disprezzo, anche considerando che sua madre rifiutò sempre di parlare francese, anche a corte.
Per teacer poi di tutte le ruberie di opere d’arte, reperti archeologici, scoperte scientifiche avvenute nel corso dei secoli. L’Italia insomma è una specie di mercato in cui venire a fare spesa di bellezze e grandi personaggi.
Insomma, da questi nefasti accadimenti si può solo trarre un grande monito per lo Stivale intero: riconoscere (senza vergogna, non serve) anzitutto l’immenso e opimo patrimonio che abbiamo per poterlo difendere e valorizzare al meglio.