Emergenza tra le emergenze: non solo SARS-Covid-19

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Poche parole per tracciare un quadro di estrema gravità. Cominciamo dal principio.

Come e dove nasce l’infezione. Nel 2014 la Cina, con la partecipazione della Francia, decide di istituire a Wuhan un laboratorio di microbiologia di livello IV. Si tratta di un centro abilitato alla modificazione genica ed alla sorveglianza/ studio dei ceppi batterici/virali maggiormente pericolosi. Il laboratorio gode inizialmente del supporto del Canada e, tra varie vicissitudini, c’è anche il tempo per una mezza storia di spie e di accuse reciproche relative alla sottrazione di alcuni ceppi patogeni che si conclude con l’espulsione di alcuni scienziati cinesi dalle università Canadesi. Il laboratorio in questione ha suscitato – in tempi non sospetti – critiche veementi, che hanno sottolineato la mancanza di adeguate regole di contenimento e di controllo. Critiche che sono comparse sulla stampa specializzata (Nature) ben prima della iniziale comparsa dei casi clinici a fine gennaio. È un fatto che, nel corso degli ultimi quindici anni, le principali viremie provengano proprio dalla Cina. Ed è sempre un fatto che i Cinesi abbiano straordinariamente dilatato i loro investimenti nel settore della biologia molecolare e degli studi di modificazione genetica. Anche assoldando scienziati occidentali, alcuni dei quali – come avvenuto negli USA – recentemente scoperti e condannati. Ciò nondimeno, come il SARS-Covid-19 sia potuto passare in così breve tempo dal pipistrello all’uomo – apparentemente senza prima interessare ospiti intermedi – resta un mistero e pone ulteriori interrogativi. Si tratta realmente di un virus “sfuggito” al controllo? È inquietante che di questo, dopo i primi giorni, non se ne parli più.

Quanto è grave la patologia respiratoria dovuta al virus? I dati che – con troppo leggerezza – vengono diffusi quotidianamente non riflettono probabilmente la realtà. A fronte di un tasso di mortalità dello 0,6% rilevato in Corea del Sud, in Italia abbiamo un valore intorno al 4%. È evidente che la discrepanza sia dovuta alle modalità di calcolo del rapporto, a come si valuta il numero dei contagiati (in Italia sottostimato) e di come vengono attribuite le morti. Per usare i termini dell’Istituto Superiore di Sanità, è opportuno sottolineare che “I decessi avvengono in grandissima parte dopo gli 80 anni e in persone con importanti patologie pre-esistenti: nel dettaglio la mortalità è del 14,3% oltre i 90 anni, dell’8,2% tra 80 e 89, del 4% tra 70 e 79, dell’1,4% tra 60 e 69 e dello 0,1% tra 50 e 59, mentre non si registrano decessi sotto questa fascia d’età”.

Dove nasce allora la vera emergenza? Dal combinato disposto dei seguenti elementi:

Il virus è estremamente contagioso (contrariamente a quanto irresponsabilmente asserito dagli spot del Ministero della Salute messi in rete a Gennaio) e pertanto si rischia un sovraffollamento e conseguente collasso dei Pronto Soccorso e dei reparti di Rianimazione degli Ospedali.

Non disponiamo di terapie efficaci, a parte quelle di sostegno. Il virus determina in una piccola frazione di pazienti (5-10%) una polmonite interstiziale. L’unico presidio è il trattamento in rianimazione con delivery di ossigeno. Nell’arco di una-due settimane i pazienti ne escono fuori. Il problema è che mancano le postazioni per il trattamento intensivo. Quindi sussiste il rischio concreto che i medici debbano scegliere quale paziente trattare e quale condannare a morte probabile.

La struttura sanitaria. L’inadeguatezza della dotazione dei reparti di rianimazione non può essere vicariata dall’abnegazione eroica dei colleghi che si trovano oggi in trincea. Le macchine mancano per scelta politica: nel 2011 disponevano di circa 1000 letti di rianimazione ogni 100.000 persone. Oggi, dopo la cura Monti e il governo di Letta, siamo scesi a 380. Ed è ridicolo che si debba procedere all’acquisto della nuova strumentazione ricorrendo a gare di appalto (solo ieri hanno fatto la prima!) in un momento di tale straordinaria criticità.

Mancano anche i medici. Perché? Perché sono trattati alla stregua di lumpenproletariat, esposti al pubblico ludibrio ed alla persecuzione della Magistratura per ogni evento nefasto che, nella stragrande maggioranza dei casi, non riflette negligenza professionale, ma solo la triste incompletezza delle nostre conoscenze e la complessità disarmante dell’essere umano. I giovani non scelgono più chirurgia – perché è proibitivo accostarsi alle necessarie assicurazioni sanitarie – ed è deprimente ipotizzare i rischi penali di quella che è diventata una professione ad alto rischio. I giovani non scelgono più medicina perché si è smarrito il senso di ciò che voglia dire fare il medico e si è reso impossibile esercitare l’Ars curandi secondo i dettami nobili e plurimillenari della nostra corporazione.

Il governo dell’emergenza. Andiamoci a rileggere La Peste di Camus per capire come si deve gestire un’emergenza sanitaria. Occorrono scelte energiche, precoci e prive di ambiguità. E soprattutto serve una comunicazione chiara, essenziale e non allarmistica. La cosa è troppo seria per lasciarla gestire a certi giornalisti. Soprattutto in una nazione in cui i cittadini sono stati abituati a deridere e sfidare lo Stato proprio nei momenti di crisi. Se una Karola qualsiasi può speronare la motovedetta della GdF, infischiandosene della sicurezza e delle leggi dello Stato, perché i cittadini non potrebbero fare lo stesso, disattendendo raccomandazioni e decreti volti a contenere la diffusione dell’epidemia? Le misure di contenimento – irrise da alcuni come il governatore della Toscana – adottate nelle “zone rosse” hanno mostrato di poter efficacemente “spegnere” l’infezione in meno di due settimane. Questo è un segnale di grandissimo ottimismo. Non dobbiamo però recedere e dobbiamo continuare lungo questa strada.

È una epidemia, anzi no, è una Pandemia. La differenza non è di poco momento. Solo l’OMS si ostina a negarlo per motivi su cui sarebbe interessante investigare. Ma tra pochi giorni arriverà l’annuncio ufficiale. Il dato è evidente (si guardi la cartina). Sono queste le stigmate della globalizzazione. La riprova della necessità di stabilire un codice e dei controlli finora elusi o volutamente aggirati. Speriamo che questo – sulla scia di quanto profetizzato nel 2008 da Jacques Attali, il “maestro” di Macron – non offra il destro a qualcuno per invocare un fantomatico “governo globale”, che spegnerebbe definitivamente le speranze dei popoli. Del resto, abbiamo visto come Europa e USA abbiano approfittato dell’emergenza per aggredire ed umiliare l’Italia, raffigurata come epicentro degli untori. La stessa Europa che ci ha negato strumentazione e mascherine (mentre occultava i propri focolai di epidemia). La stessa Europa che su un tema di tale ampiezza non ha ritenuto necessario ancora convocare un summit urgente per decidere una strategia comune.

Chissà che questo virus finisca con il trascinare in rianimazione anche quel simulacro di organizzazione che chiamiamo Unione Europea. Al momento, però, il nostro posto è in trincea. Con chi combatte negli ospedali, tra le forze dell’ordine e nei luoghi di lavoro, per evitare che la Patria sprofondi nel baratro. Chiunque volti le spalle a quest’obbligo è un traditore. Ed andrebbe trattato di conseguenza.