Ddl Zan, coprifuoco, bagno unisex…basta! Ribelliamoci, ora più che mai!

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Sembra così strano e assurdo, sapete? Zittirsi sempre in partenza, ancor prima di cominciare a parlare; lasciar perdere ogni discorso “perché tanto tutti gli altri non capirebbero e finirebbero per attaccare”; fino a non esprimersi più per nulla perché tanto verremmo sepolti vivi da un vortice di odio e di offese ingiustificate.

Distaccarsi dal pensiero comune – che tanto i media, quanto i vip dell’ultimo minuto, finanche il mondo intero intendono propinarci – diventa giorno dopo giorno un atto sempre più incredibile e rivoluzionario.

Rendersi tristemente conto della recrudescenza con cui la censura si impone nel mondo non può certamente lasciarci indifferenti. Non lo negherò, la libertà piena e compiuta di espressione sembra essere oramai divenuta una remota utopia. Non c’è giorno in cui sui social o anche nella stessa televisione non si proceda con l’eliminazione coatta di tutti i contenuti poco graditi, delle voci non allineate, di quelle fuori dal coro, non c’è giorno in cui non avvengano segnalazioni scriteriate e arbitrarie.

Instagram e Facebook in primis appaiono come il terreno più fertile della cultura della cancellazione, anzi, più modernamente, cancel culture, perché anche l’italiano è passato ormai assai di moda.

Questo non si può dire e questo non si può fare, come se la più innocente delle battute o la più sottile forma di ironia fossero inevitabilmente riconducibili all’odio inter personale e sociale.

Il diritto alla satira, da sempre tutelato e protetto in quanto una delle molteplici manifestazioni della umana libertà di pensiero, di parola e di espressione sembra essere stato ormai da tempo sacrificato al nuovo culto del politicamente corretto, da cui non sembra esserci al momento via di scampo.

Non è banale, in quest’ottica, pensare anche solo al duo comico di Pio e Amedeo, che sorprendentemente e con una non indifferente dose di coraggio hanno fatto sentire la loro voce; la loro pretesa è assai semplice e fondata: rivendicare il sacrosanto diritto di svolgere il proprio lavoro, senza censure, né limitazioni. Non è punibile l’aggettivazione se non cela cattiva intenzione.

La dittatura del pensiero unico che ci affligge si annida proprio qui, nelle scelte lessicali in apparenza più innocue, eppure così prese di mira da chi intende sovvertire lo stesso vocabolario italiano.

La libertà di espressione muore inevitabilmente ogni qual volta si venga accusati ingiustificatamente di razzismo, sessismo, fascismo, omofobia, xenofobia, come una esilarante cantilena che diventa ogni giorno più macabra e meschina. A ciò aggiungiamo limmancabile ultima combinazione – chiaramente sotto forma di inglesismo per aggiungere disagio al disagio – ovvero gli onnipresenti body shaming e cat calling.

Vietato usare aggettivi quali “magro o grasso” perché potrebbero turbare la sensibilità dell’interlocutore: non si è grassi, in carne o sovrappeso ma diventa colpa del metabolismo. Vietato pensare all’obesità come una malattia, perché tanto non importa che si sfiorino i 160 chili: nel 2021 dobbiamo proclamare tutti i corpi ugualmente belli e perfetti.

Al diavolo dunque l’alimentazione sana o uno stile di vita atletico e salutare.

Preferire poi donne che abbiano certe caratteristiche invece di altre è una pericolosa e misogina deriva maschilista, di cui è complice il pericolosissimo e millantato sistema del patriarcato, da combattere e demonizzare.

Guai a leggere classici latini o greci nelle Università per pericolose derive razziste: in certi casi è addirittura scattata la chiusura del dipartimento di lettere antiche, a quanto pare scambiato per una sede del Ku Klux Klan.

Infine non importa quanto giuridicamente il Ddl Zan sia terribilmente impreciso: non invocarlo col pennarello nero sul palmo della propria mano equivale a essere obbligatoriamente omofobi.

La parola preferita della odierna gioventù sembra essere diventata “toxic” rigorosamente scritta in inglese e applicata a qualunque contesto sociale: la scuola, gli amici, la famiglia, internet, tutto è bollato sotto siffatta dicitura, che identifica tutto ciò che appare non gradito ai nostri fanciulli.

Non appena infatti qualcuno appare assolutamente estraneo alle nuove battaglie del secolo – dall’eliminazione di ogni tabù, fino allo sdoganamento del sesso libero, delle mutevoli identità di genere e chi più ne ha più ne metta – esplode il polverone.

Il bagno per i maschi e quello per le femmine è un esempio di sessismo: si invoca al bagno unisex. Come corollario, nessuna separazione nemmeno per i negozi di abbigliamento: è sempre un retaggio patriarcale infatti precludere gonne e rossetti agli uomini.

Ma se queste sembrano esser cose di poco conto, non ci resta che pensare a quanto le restrizioni covid – adeguate o imbarazzanti che siano, al buon cuore dei lettori – altro non abbiano fatto che acuire una già di per sé guerra ideologica tra masse sociali, fatta di battaglie digitali, scontri televisivi e lotte di opinione.

Sembra quasi che il clima costante di privazioni e restrizioni cui siamo sottoposti quotidianamente altro non abbia fatto che ingigantire la distanza che ci separa, acuendo odi, barriere e fragilità.

Non passa certamente inosservato – per fare forse l’esempio più sciocco che ci viene in mente su due piedi – l’uso improprio, un po’ triste e a tratti parecchio squallido del termine coprifuoco, che applicato a un contesto non belligerante come quello attuale, altro non fa che metterne in luce le intrinseche contraddizioni e incoerenze.

Neanche pochi giorni fa dunque, mi sono permessa di esprimermi in merito in un video Instagram, sottolineando quanto il coprifuoco stesso individuasse un attacco inaccettabile alle nostre libertà costituzionalmente garantite di spostamento e circolazione, ignara del fatto che mi sarei ritrovata una serie di segnalazioni giustificate – testualmente – dai motivi di violenza e organizzazione pericolosa.

Per rinfrescare un po’ la memoria, essendo il coprifuoco una misura esplicitamente politica e non terapeutica, non permane affatto in piedi la sua costituzionalità: è di fatti impossibile trattenere qualcuno in casa per ragioni e scopi politici e non di salute pubblica.

Ed è proprio un minimo episodio di censura come questo che ci fa rendere ancora più conto di quanto i mezzi che dovrebbero garantire agli utenti la trasmissione di informazioni e di opinioni vengano puntualmente sottoposti ad arbitrari silenzi. Canali, pagine e profili vengono chiusi, nemmeno fossero promotori dei più sovversivi istinti omicidi.

Eppure, è proprio in nome della libertà che dobbiamo dispiegare la nostra ferma azione, ora più che mai. Il diritto di esprimere liberamente opinioni non lesive della dignità altrui sembra essere stato ormai del tutto soppresso, spesso dimenticando i preziosi sacrifici nella nostra Storia per riuscire a conquistarlo. È la nuova moda del momento definire a priori fascista tutti coloro che non intendono piegarsi alla dittatura del politicamente corretto che spalanca le sue fauci fino a inghiottire qualsiasi opinione che dissenta dal mainstream.

Ma i nostri amatissimi censori improvvisati commentatori e segnalatori da strapazzo dimenticano proprio che scopo primario del post ventennio fascista fu, sopra ogni altro, quello di tutelare la libertà di espressione di ognuno, fino a dedicarvi più di un articolo nell’ottica della nuova costituzione italiana che all’articolo 21 recita che “Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione. La stampa non può essere soggetta ad autorizzazioni o censure.”

Nell’articolo 19 della coeva Dichiarazione Dei Diritti Umani leggiamo: “Ogni individuo ha diritto alla libertà di opinione e di espressione incluso il diritto di non essere molestato per la propria opinione e quello di cercare, ricevere e diffondere informazioni e idee attraverso ogni mezzo.”

Ma forse – a rileggere un po’ di Storia – non siamo ancora tutti in grado.

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