Edoardo Vianello: “Oggi nelle canzoni non c’è più la melodia”

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Interviste su tutti i quotidiani, articoli, questi giorni Edoardo Vianello torna alla ribalta, dopo l’intervento ad “Atreju” il 14 dicembre. Tre settimane prima era uscito il numero 55 di CulturaIdentità con una bella intervista a firma Massimiliano Beneggi, in cui il cantautore aveva parlato dei temi che ora sono sulla bocca di tutti: il politicamente corretto, che vorrebbe cancellare il suo “I Watussi” per quel «altissimi negri», la decadenza della musica leggera, le sue origini familiari futuriste… [Red]

Ricordate «I watussi» di Edoardo Vianello? La canzone che cominciava così: «Nel continente nero alle falde del Kilimangiaro ci sta un popolo di negri che ha inventato tanti balli, il più famoso è l’hully gully…». È quasi impossibile leggere queste parole senza canticchiarle. Il brano, che debuttò al Cantagiro ’63, è ancora nelle orecchie di tutte le generazioni che ne conoscono il testo (scritto da Carlo Rossi) a memoria, associandolo subito a quella musica frizzante e ballabile che ha caratterizzato la nostra cultura per tanti anni. Un successo arrivato poche settimane dopo un altro pezzo indimenticabile, «Abbronzatissima», e qualche mese prima di «Oh mio Signore», composta con Mogol. Non solo, a quel Cantagiro il re Mida del pop italiano portò con sé anche i Flippers, gruppo che vantava un clarinettista come Lucio Dalla. In quell’occasione lo notò Gino Paoli, che lo lanciò come cantante. Pensate un po’ cosa ci saremmo persi senza «I watussi»…

Insomma quella canzone fu un trionfo che, per diverse ragioni, permise alla melodia italiana di essere conosciuta in tutto il mondo: nel 2010 entrò persino nel Guinness dei Primati per essere stata interpretata dal vivo più di diecimila volte. Eppure qualcuno, sostenendo le nevrasteniche follie del politicamente corretto, si rifiuta di intonarla. Edoardo Vianello, però, se ne infischia: «Non devo giustificarmi per nulla. All’epoca si chiamavano negri: era un modo per identificare un popolo», afferma.

Se scrivessi nel 2024 «I watussi» useresti ancora la parola «negri»?

Per non disturbare nessuno, eviterei di usare quel termine, tuttavia non si può cancellare il passato cambiando le parole. Non fu un’offesa per nessuno all’epoca, perché dovrebbe diventare retroattiva? 

Cosa rappresenta oggi «I watussi» nel suo significato?

Lo stesso del 1963: è un brano spiritoso di qualcuno che guarda il mondo dal punto di vista di personaggi che sono molto alti. Per me, che sono basso, è sempre stato particolarmente divertente.

Quando hanno cominciato a romperti le scatole con quel testo?

È uscita fuori giornalisticamente qualche anno fa. Sorrisi, perché mai nessuno in un mio spettacolo mi ha interrotto o guardato male per questo. La verità è che ancora oggi basta che io canti «Nel continente nero» e parte subito il coro del pubblico: «Paraponziponzipò». Cambiammo le parole a un canto popolare delle osterie: si rivelò una scelta azzeccata.

E la cantiamo ancora tutti. A differenza delle canzoni arrivate nei decenni successivi.

La musica si è andata deteriorando: la melodia è stata abbandonata, quindi resta al massimo una frase, senza però il piacere di poterla canticchiare.

La canzone identitaria, tra le tante, di Edoardo Vianello?

«I watussi» sicuramente. E poi «Abbronzatissima», «Guarda come dondolo», «Il capello», ripresa come «Finimondo» da Myss Keta.

Come inventasti la marcatura delle consonanti?

Mio padre [Alberto, poeta futurista, 1902-1977 NdR] declamava le sue poesie futuriste scandendo le parole con un uso nuovo delle lettere. Questo mi influenzò inconsciamente. Le mie canzoni sono sul filo del rasoio tra l’essere idiote e l’essere geniali: in questo modo le rendo più importanti, facendo passare il genio

È vero che conoscesti Marinetti?

Sì, anche se non lo ricordo perché ero molto piccolo: venne a pranzo a casa nostra, perché pubblicò alcune liriche di mio padre. Marinetti fu uno dei più grandi innovatori, in qualche caso spregiudicato, che diede un impulso decisivo verso la modernità.

Chi è oggi il nuovo Marinetti?

Non ne vedo in giro, purtroppo. Ci sarebbe tanto bisogno di qualcuno pronto a dare una scossa alla cultura.

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