Stasera l’attesa “prima” di “Inimitabili. Marinetti” al cortile di Sant’Ivo alla Sapienza a Roma. La vita del padre del Futurismo dopo il successo su RaiTre e poi Rai Storia arriva sui palchi teatrali con Edoardo Sylos Labini, i testi di Angelo Crespi e le musiche di Sergio Colicchio. E lo fa l’11 settembre, 110° compleanno di uno dei manifesti più famosi e rivoluzionari lanciati da Marinetti e dai suoi compagni, quello del Vestito Antineutrale.
Era infatti l’11 settembre del 1914, con la traduzione in italiano di un manifesto uscito in francese pochi mesi prima, a firma del vulcanico Giacomo Balla ed “entusiasticamente approvato” da tutta la dirigenza futurista, col quale praticamente nasce la moda del XX secolo. Quella dei colori sgargianti, degli abiti casual. La tuta, brutta ma infinitamente comoda, la inventano i futuristi un pugno di anni dopo (precisamente, i fratelli Thayaht e Ram). Ma l’intento del Vestito Antineutrale era non soltanto sociale, ma soprattutto politico e patriottico. La neutralità delle tinte in voga durante la belle epoque – nero, grigio, blu scuro, varie tinte di marrone e beige… – era il bersaglio sartoriale per un bombardamento ideale più vasto: quello contro la neutralità politica dell’Italia nella Grande Guerra.
Non a caso i due esergo che aprivano il manifesto erano la celebre “Glorifichiamo la guerra, sola igiene del mondo” del primo Manifesto del Futurismo e un criptico – per noi – “Viva Asinari di Bernezzo!”, gridato da Marinetti nella prima serata futurista del 1910, nell’anniversario del Manifesto, quando la Caffeina d’Europa esaltò Vittorio Asinari, Marchese di Bernezzo, l’eroe delle guerre d’Indipendenza che fu messo a riposo forzato per aver pronunciato un discorso irredentista nel 1909, quando Roma era ancora nel pieno della sua alleanza con Vienna e Berino.
Per i futuristi – che poi combatteranno con coraggio e spesso perdendo la vita nelle trincee della Grande Guerra – l’Italia doveva completare il proprio percorso risorgimentale e chiudere i conti una volta e per sempre con l‘Impero asburgico, nemico secolare del nostro paese perché ancora occupava Trento e Trieste e immagine di quel mondo borghese, inamidato, smorto e sbiadito che era l’antitesi del Futurismo.
Ovviamente il manifesto del Vestito Antineutrale era una raffica ad alzo zero contro il gusto borghese dell’epoca:
«OGGI vogliamo abolire:
1. — Tutte le tinte neutre, «carine», sbiadite, fantasia, semioscure e umilianti.
2. — Tutte le tinte e le foggie pedanti, professorali e teutoniche. I disegni a righe, a quadretti, a puntini diplomatici.
3. — I vestiti da lutto, nemmeno adatti per i becchini. Le morti eroiche non devono essere compiante, ma ricordate con vestiti rossi.
4. — L ’equilibrio mediocrista, il cosidetto buon gusto e la cosidetta armonia di tinte e di forme, che frenano gli entusiasmi e rallentano il passo.
5. — La simmetria nel taglio, le linee statiche , che stancano, deprimono, contristano, legano i muscoli; l’uniformità di goffi risvolti e tutte le cincischiature. I bottoni inutili. I colletti e i polsini inamidati».

Era la liberazione dalla neutralità, spirituale e di costume prima che politica e militare.
«Gli abiti futuristi – continua il Manifesto – saranno dunque:
1. – Aggressivi, tali da moltiplicare il coraggio dei forti e da sconvolgere la sensibilità dei vili.
2. – Agilizzanti, cioè tali da aumentare la flessibilità del corpo e da favorirne lo slancio nella lotta, nel passo di corsa o di carica.
3. – Dinamici, pei disegni e i colori dinamici delle stoffe, (triangoli, coni, spirali, elissi, circoli) che ispirino l’amore del pericolo, della velocità e dell’assalto, l’odio della pace e dell’immobilità.
4. – Semplici e comodi, cioè facili a mettersi e a togliersi, che ben si prestino per puntare il fucile, guardare i fiumi e lanciarsi a nuoto.
5. – Igienici, cioè tagliati in modo che ogni punto della pelle possa respirare nelle lunghe marcie e nelle salite faticose.
6. – Gioiosi. Stoffe di colori e iridescenze entusiasmanti. Impiegare i colori muscolari, violentissimi, rossissimi, turchinissimi, verdissimi, gialloni, aranciooooni, vermiglioni.
7. – Illuminanti. Stoffe fosforescenti, che possono accendere la temerità in un’assemblea di paurosi, spandere luce intorno quando piove, e correggere il grigiore del crepuscolo nelle vie e nei nervi.
8. – Volitivi. Disegni e colori violenti, imperiosi e impetuosi come comandi sul campo di battaglia.
9. – Asimmetrici. Per esempio, l’estremità delle maniche e il davanti della giacca saranno a destra rotondi, a sinistra quadrati. Geniali controattacchi di linee.

10. – Di breve durata, per rinnovare incessantemente il godimento e l’animazione irruente del corpo.
11. Variabili, per mezzo dei modificanti (applicazioni di stoffa, di ampiezza, spessori, disegni e colori diversi) da disporre quando si voglia, su qualsiasi punto del vestito, mediante bottoni pneumatici. Ognuno può così inventare ad ogni momento un nuovo vestito. Il modificante sarà prepotente, urtante, stonante, decisivo, guerresco, ecc.».
E naturalmente, come ogni discorso sulla moda non può mancare d’avere, c’è poi il capitolo sugli accessori: il cappello asimmetrico, le scarpe “atte a prendere allegramente a calci tutti i neutralisti”. Il rosso, colore della rivoluzione, verrà “moltiplicato” nella nostra bandiera nazionale contro l’indecisionismo del governo.

Le loro idee sulla moda proseguiranno dopo la Grande Guerra. I coloratissimi gilet futuristi, scandalosi per l’epoca e che stasera vedrete indosso al narratore Edoardo Sylos Labini sul palco del Senato, saranno modello per la moda della seconda metà del XX secolo. Peraltro proprio dalla guerra e dalle abitudini del più futurista dei corpi italiani, quello degli Arditi, nasceranno le suggestioni che porteranno alle t-shirt, le magliette che col loro motto sul petto riprenderanno in chiave contemporanea le pettorine araldiche dei guerrieri medievali.
Appuntamento dunque stasera a Sant’Ivo alla Sapienza per la prima di “Marinetti”!