La grande attesa è terminata. Ma il leone d’Occidente, Donald Trump, non ha perso. La temibile rimonta dell’onda rossa non è riuscita a concludere, almeno per ora, il proprio percorso verso il successo definitivo. In ogni caso, ha trionfato un modello statale imperniato su un sistema politico saldamente libero e democratico. Sebbene possa sembrare un fattore secondario, giova ricordare che nessun paese del globo adotta un sistema elettorale che non guarda in senso proporzionale al numero dei voti del candidato ma a quanti “grandi elettori” riesce questo a conquistare, mediante la vittoria stato per stato. Esso risulta il più funzionale ed adeguato data la storia degli Stati Uniti d’America. Quella di quest’anno è stata una sfida straordinariamente avvincente sotto due essenziali aspetti: il primo concerne una storica affluenza alle urne, che ha sfiorato il 70% degli aventi diritto al voto (percentuale bulgara in quanto mai raggiunta dagli inizi del secolo scorso); il secondo concerne una clamorosa e sonora smentita di tutte le previsioni commissionate dalle svariate case sondaggistiche americane, che figuravano una vittoria certa e netta per il candidato democratico, dipingendo un quadro irrimediabilmente disastroso per il presidente uscente, dandone la vittoria quasi per impossibile. La potentissima “ondata rossa” popolare emersa grazie all’intensa, orgogliosa e ottimistica campagna elettorale condotta da Trump, il quale si è sempre detto convinto della propria rielezione, ha ridotto in frantumi tali pronostici ai quali si erano da subito accodate gli auspici della grande stampa pro-establishment e i molteplici poteri politici, economici e mediatici ostili alle politiche di Trump. Tale ribaltone della realtà ha permesso al presidente uscente non solo di rimanere in partita, ma anche di gareggiare quasi fino allo scrutinio dell’ultimo e singolo seggio elettorale, in uno scenario competitivo, acceso, entusiasmante, duraturo e pregno di partecipazione emotiva da parte di tutti i governi e i cittadini del mondo. A questo punto possiamo constatare un Donald Trump non sconfitto e un vivo e vegeto trumpismo, inteso quale fenomeno comunicativo, politico, economico, sociale e mediatico che ha lasciato un segno nella storia americana e che prospetta un proprio ritorno in futuro, magari alle prossime elezioni del 2024. Tuttavia, il nostro augurio è che il prossimo Presidente, chiunque esso sia, sappia incarnare e rappresentare al meglio quella guida forte e autorevole della quale la più grande democrazia e potenza economica occidentale necessita per fronteggiare con fermezza e determinazione l’imminente pericolo proveniente dalle mire espansionistiche della dittatura comunista cinese. Ma, comunque, perseguendo e difendendo gli interessi dell’occidente senza frapporre ostacoli alla leale collaborazione fra i grandi paesi che ne fanno parte.