Quest’anno al pranzo natalizio in Vaticano né carne né vino..

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Le "Nozze di Cana" di Luca Longhi (1580), dipinto presso il refettorio dell'abbazia di Classe dentro - attualmente Biblioteca Classense - dopo il restauro del 2017 - file licenziato in base ai termini della licenza Creative Commons

Tutti nella nostra infanzia, in questo periodo, a scuola, siamo stati presi dai preparativi della tanto attesa recita natalizia. Una grande emozione. Una prima volta su un palco. Un rito che negli anni, in tutto Italia (ma anche in molti paesi del mondo), si ripete. Una tradizione che oltre a ricordarci il perché festeggiamo il Natale, così oscurato dal consumismo compulsivo, rimane un ricordo indelebile nella memoria di ognuno di noi. Quest’anno però a Moie, in provincia di Ancona, c’è chi ha deciso che la recita non si debba fare. Motivo? La recita offenderebbe la sensibilità religiosa di alcuni bambini e delle loro famiglie.

Ma cosa c’è di offensivo nel voler ricordare la nascita di Gesù in un paese dove la storia, le tradizioni e la cultura sono legate indissolubilmente, dalla notte dei secoli, alla fede Cattolica?

Può veramente una tradizione legata a Colui che è stato esempio di amore per il prossimo essere causa di disagio per qualcuno?

Tempo fa c’è stata anche la polemica del crocifisso a scuola. Anche in questo caso, in molti si si sono espressi: dalla Conferenza dei Vescovi che ha definito il valore educativo al di là di quello religioso, all’on. Gelmini che ha affermato come il simbolo cristiano sia, prima di tutto, testimonianza delle nostre radici. Una controversia mai sopita tra cattolici e laici che partì quasi un ventennio fa con una crociata da parte di Adel Smith, presidente dell’Unione musulmani d’Italia e del giudice Luigi Tosti, promotori di una battaglia anti-crocefisso. La Corte europea dei diritti dell’uomo, con una sentenza definitiva, nel 2011 sancì che il crocifisso poteva restare affisso nelle aule delle scuole pubbliche italiane.

Tuttavia, la polemica non si è spenta. Periodicamente si torna su questo tema. E a Natale, il problema principale sembra essere sempre il Presepe. Farlo o non farlo. Continuare a mantenere quella tradizione cristiana che esalta la bellezza del focolare domestico, o rinunciare a quel rito così profondo in nome di un dettame politicamente corretto per una tradizione che di scorretto non ha proprio nulla?

Che dire, poi, dell’insegnante che l’anno scorso modificò il testo di una canzoncina natalizia, togliendo la parola “Gesù” per non offendere la sensibilità di alcuni alunni non cattolici? Nel suo caso, però, l’insegnante si è trovata a fronteggiare una bambina che, ad appena dieci anni, si è rifiutata di seguire le sue indicazioni e ha organizzato una vera e propria petizione tra i compagni, ottenendo alla fine di poter cantare “senza censure”.

E anche questo Natale non poteva mancare l’argomento di discussione: quest’anno al pranzo per i poveri offerto in Vaticano non è stata servita né carne di maiale né vino: tali alimenti sarebbero probabilmente stati banditi per non mettere a disagio gli invitati appartenenti ad altre religioni.

Proprio quel vino, simbolo cristiano per eccellenza che ricorda il primo miracolo compiuto da Gesù nell’episodio delle nozze di Cana, nonché elemento che durante la messa, per i credenti, diviene santissimo sangue di Cristo e testimonianza del suo dono d’amore.

Viene ora da chiedersi: dove andranno a finire i nostri valori, le nostre radici, la nostra storia?

Si può davvero pensare di cancellare tutto ciò che ci rappresenta, e ci ha sempre rappresentati, in nome di un atteggiamento fintamente rispettoso? Ma poi, il rispetto verso il prossimo si realizza annullando la propria identità?