Il vero rapporto fra il Vate e il Duce: su CulturaIdentità in edicola

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Chi parlava di “due galli nello stesso pollaio“? Ebbene, una metafora quanto mai azzeccata per due delle personalità più esplosive del loro tempo, quei tre decenni all’inizio del XX secolo che sconvolsero l’Europa: Gabriele d’Annunzio e Benito Mussolini. Il Vate d’Italia, il Poeta Soldato e il direttore di quotidiani, agitatore di folle, fondatore di movimenti, futuro Duce.

Come sapete, il numero 54 di CulturaIdentità offre ai lettori i testi in integrale dei tre “Inimitabili” in scena: Mazzini, d’Annunzio, Marinetti. E di d’Annunzio racconta l’ampia e controversa pagina del suo rapporto con Mussolini.

Senza dubbio, anche per motivi anagrafici, Mussolini fu debitore di d’Annunzio: le sue parole d’ordine, il suo stile, le sue invenzioni politiche… L’impresa di Fiume – che il neonato Fascismo guardò dalla finestra più che esservi coinvolto direttamente – diede al futuro regime miti e riti, che s’affiancarono a quelli nati durante la guerra.

Del resto, Mussolini da bersagliere, d’Annunzio da aviatore, entrambi avevano combattuto contro l’Austria-Ungheria. Entrambi erano stati interventisti, entrambi avevano senza posa sostenuto lo sforzo bellico italiano con un’incessante propaganda fatta di gesta – d’Annunzio – e infiammati articoli di giornale – Mussolini. Entrambi avevano dato l’esempio finendo feriti e mutilati. Durante la guerra, la nascita degli Arditi aveva suggestionato entrambi, e gli Arditi alla fine del conflitto, traditi dalle conseguenze della Vittoria Mutilata ma anche da uno Stato Maggiore che li tollerava a denti stretti, passarono in gran parte alle fazioni rivoluzionarie: i Fasci di Combattimento, i Legionari fiumani e perfino nei socialisti massimalisti (gli Arditi del Popolo). Gli Arditi, coi loro teschi, le camicie e le fiamme nere, i canti e lo spirito bellicoso, truce, piratesco che si rifaceva alle “compagnie della morte” medievali e alle suggestioni salgariane, non potevano non affascinare i due interventisti più famosi d’Italia. Così il primo ne esaltava i rituali e scriveva per loro canti, parole d’ordine e gridi di guerra, il secondo ne faceva la spina dorsale del proprio movimento politico. Un continuum culturale che avrebbe di fatto traghettato l’immaginario creato dall’Immaginifico a Fiume quasi per intero all’interno del Fascismo.

Così vicini per tanti versi, Mussolini e d’Annunzio erano però profondamente differenti per carattere: pragmatico oltre il limite del cinismo, il primo; tutto proiettato nell’impresa ideale di far della propria vita un’opera d’arte a beneficio dell’Italia, il secondo. Troppi interessi in comune, troppa la distanza elettiva fra i due. Così, quando l’astro di Mussolini ascese, quello di d’Annunzio, superato lo zenit, iniziò a tramontare. Come detto, c’era anche una non trascurabile differenza anagrafica fra i due, che favorì il fondatore dei Fasci. Così d’Annunzio finisce letteralmente “esiliato” nel suo Vittoriale di Gardone. Mussolini si premura che non gli manchi nulla, per tenerlo buono, lontano dalla politica e che non possa mai diventare un suo rivale (come qualche caso sembrò possibile, poco prima della Marcia su Roma e dopo il caso Matteotti). D’Annunzio accettò, senza rinunciare a far valere il proprio rango con piccole ma sapide vendette: ore d’anticamera per dare udienza al Duce, salaci scambi di battute (Mussolini appellato “o lesto fante”, in riferimento alla sua militanza nei Bersaglieri). Alla vigilia dell’alleanza con la Germania, d’Annunzio è fra gli oppositori a questa mossa politica spregiudicata, ma di lì a poco muore, e non ne potrà vedere le conseguenze.

A Fiume era iniziato il rapporto di scontro e rivalità fra i due. Nell’autunno del 1919 d’Annunzio è isolato e s’aspetta in Italia azioni rivoluzionarie e sognatrici come la sua, in supporto alla causa fiumana. Mussolini però è un freddo calcolatore. Sa che l’impresa fiumana è destinata a essere schiacciata, perché i tempi per una rivoluzione nazionale in Italia non sono maturi: per la Marcia su Roma occorreranno ancora due anni di lunga preparazione e l’idea di d’Annunzio di una seconda “marcia”, stavolta sulla capitale, dopo quella di Fiume non è che un sogno ad occhi aperti. Per ora, almeno.

Così Mussolini si limita a raccogliere fondi per l’impresa di Fiume, di cui coglie il valore propagandistico e sa di non poter mancare a quell’appello per non essere disonorato davanti ai suoi, ma valuta con brutale realismo le prospettive della Reggenza del Carnaro e sa che politicamente è una battaglia perduta. I due si tengono in stretto contatto e d’Annunzio mastica amaro, considerando l’attendismo del capo dei Fasci una sorta di tradimento.

Scopri e approfondisci il rapporto tra i due sulle pagine di CulturaIdentità.

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