Parla l’attivissimo sindaco dell’Aquila, Pierluigi Biondi
Sindaco, cosa significa per L’Aquila essere Capitale Italiana della Cultura 2026?
È una responsabilità e un’opportunità. Questo titolo non celebra solo un traguardo, ma un percorso. Rappresenta il riconoscimento di un lavoro corale, iniziato all’indomani del terremoto del 2009, in cui la cultura è stata scelta come strumento di rinascita urbana, sociale e civile. L’Aquila è oggi un esempio di come si possa trasformare una tragedia in progetto, e un’emergenza in visione.
Il ruolo delle città medie è tornato al centro del dibattito. Cosa può insegnare L’Aquila al Paese?
Che le città medie non sono territori residuali, ma luoghi generativi. L’Aquila ha una dimensione che consente prossimità, qualità della vita, ma anche una forza culturale, scientifica, produttiva che può competere con i grandi centri. Sono le città medie a custodire l’identità profonda dell’Italia: qui si tengono insieme tradizione e futuro, bellezza e competenza, memoria e innovazione.
Come si articola il programma per il 2026?
È un programma diffuso, inclusivo e radicato nel territorio. Abbiamo oltre 150 progetti che coinvolgono musei, fondazioni, università, accademie, associazioni, imprese culturali. Ma soprattutto cittadini. Vogliamo una Capitale della Cultura che non si esaurisca in un calendario di eventi, ma lasci una traccia permanente: nelle scuole, nei quartieri, nelle frazioni. La cultura non deve essere concentrata, ma condivisa.
La presentazione parla di un patrimonio immobiliare ereditato dall’emergenza che è diventato simbolo di riscatto. Come?
Abbiamo riutilizzato gli spazi nati per far fronte all’emergenza post-sisma per ospitare funzioni pubbliche, scuole, centri civici, attività culturali. Questo è il senso della rigenerazione: trasformare ciò che era provvisorio in valore. Oggi quei luoghi generano comunità, conoscenza, vita quotidiana.
Che ruolo giocano le istituzioni culturali e scientifiche nel presente dell’Aquila?
Un ruolo decisivo. L’Aquila è sede di un sistema integrato di organizzazioni prestigiose che operano in sinergia: le istituzioni culturali, quelle pubbliche, l’Università, l’Accademia di Belle Arti, il Conservatorio, il GSSI, il MAXXI L’Aquila, il MuNDA, i Laboratori Nazionali del Gran Sasso, le associazioni di categoria e quelle sportive. Non sono presenze isolate: fanno rete. E questa rete, tra arte, formazione e ricerca, è il cuore pulsante di una città che guarda al futuro con fiducia.
Il rapporto tra centro e frazioni è un tema delicato per ogni città. Come lo affrontate?
Abbiamo scelto di non concentrare la cultura solo nel centro storico, ma di valorizzare ogni angolo del territorio. I cammini, l’accoglienza nei borghi, gli eventi diffusi sono strumenti per ricucire legami, generare identità e attivare economie locali. Il titolo di Capitale Italiana della Cultura appartiene a tutto il Comune dell’Aquila, ai Comuni del Cratere, alle nostre aree interne, in sinergia anche con un pezzo di Lazio, il Comune di Rieti, e non a una sua parte.
Cosa resterà dopo il 2026?
Spero resti una consapevolezza più forte del valore dell’Aquila. Un tessuto connettivo più coeso tra istituzioni, cittadini e territori. E una convinzione: che investire in cultura non è un lusso, ma una scelta strategica. Perché è nella cultura che si riconoscono i popoli. E nei luoghi come L’Aquila, l’Italia può ritrovare se stessa.