La Rivoluzione, cavalcando la comunicazione

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S’intitolava Mussolini il rivoluzionario il primo degli otto tomi di Renzo De Felice che, a partire dal 1965, avviarono una lettura non ideologica (e subito fortemente contestata dalla storiografia corrente e ufficiosa) laac parabola del fascismo. 55 anni dopo troviamo in libreria I discorsi della rivoluzione, uscito adesso per i tipi di Eclettica a cura di Fernando Massimo Adonia con saggio introduttivo di Angelo Capuano (Benito Mussolini, I discorsi della rivoluzione, Eclettica, 2020, 95 pagine, 13 euro): un agile libretto, minimalista nelle pagine e nella copertina (ma graficamente efficacissima, con una riconoscibilissima silhouette cranica illustrata in rosso e nero su sfondo bianco dalla cui bocca escono onde sonore come le onde radio), ma molto denso nella esposizione di quei fatti circostanziati che diedero l’innesto alla “Rivoluzione”, ossia i cinque discorsi (Discorso di Udine; Discorso di Cremona; Discorso alla Sciesa di Milano; Discorso di Napoli; Discorso del Bivacco, cioè il primissimo intervento a Montecitorio dopo la Marcia su Roma), pubblicati sulla prima pagina del Popolo d’Italia (e riprodotta in esergo nel presente libro) e poi raccolti da Italo Balbo nel pamphlet del 1923 Benito Mussolini. I discorsi della rivoluzione della Imperia Casa Editrice di Milano (anch’esso riprodotto).

In questi discorsi il capo del fascismo espone il progetto anti-modernista di fondazione di un nuovo assetto politico che renda dignità all’Italia dopo la cosiddetta “vittoria mutilata” della Grande Guerra all’interno di una società che sta diventando società di massa. E qui sta il punto: come scrive Angelo Capuano nel breve saggio introduttivo, “[…] l’anti-modernismo implicava il rifiuto dell’idea di progresso, ma non dei risultati materiali pratici conseguiti dall’attività scientifica e dalla tecnologia. La società diventa di massa e questo è tento vero se si considera l’importanza che i nuovi mezzi di comunicazione ricopriranno nel consolidamento del regime”. Qui dunque si innesta la Rivoluzione, cavalcando la comunicazione; qui nasce il “mito mussoliniano” [cit.], per mezzo certamente della “fabbrica del consenso”, ma anche e soprattutto attraverso quelle “nuove tecnologie” che si impiantano sulle nuove discipline sociologiche e psicologiche (un nome su tutti: Max Weber e i suoi studi sulla figura del leader carismatico) e che rappresentano il manuale d’istruzioni per la professione politica. Quale il mezzo con cui diffondere le idee del nuovo movimento? La carta stampata: per questo i discorsi della rivoluzione vennero subito riprodotti sul Popolo d’Italia e in un libro. Allora non c’erano gli spin doctors e i ghost writers, il capo del fascismo essendo già un eccellente giornalista e un abile parlatore. E ci fermiamo qui…Chiude il libro un’appendice con i Preludi della Marcia su Roma.