Le fiamme dell’odio e la totale assenza dello Stato

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Foto di Alexas_Fotos da Pixabay

Maria Antonietta Rositani, la giovane donna bruciata viva dal suo ex marito, non è l’ennesimo caso di femminicidio ma rappresenta una tragica storia di abbandono da parte dello Stato. Era il 12 marzo 2019, Ciro Russo- l’ex marito condannato per violenza e maltrattamenti contro lei e sua figlia-  evade dai domiciliari a Ercolano per raggiungere Reggio Calabria e mettere in atto la sua follia criminale.  Con 3 bottiglie di benzina raggiunge Maria Antonietta, e dopo averla speronata, ha dato fuoco all’autovettura; le fiamme si propagano sul radiatore e uscita dalla macchina Russo le getta della benzina addosso dicendole che doveva morire. Una vita salvata da un pozzanghera presente li vicino, la giovane donna riesce a tamponare quelle fiamme che la avvolgevano e che le porterà ustioni gravissime per tutto il corpo (più del 50%).

Un odio che poteva essere fermato, da chi ha il compito di tutelare i cittadini e di reprimere ogni condotta criminosa,  tante sono le falle- le zone d’ombra- presenti in questa vicenda. Partiamo dalla fine, dall’epilogo, la mattina stessa del tentato omicidio, il padre di Ciro Russo- alle ore 8:05- denuncia ai Carabinieri di Ercolano l’evasione del figlio; “Perché i carabinieri di Ercolano non hanno avvisato i colleghi di Reggio Calabria?” è uno dei tanti interrogativi che si pone Carlo Rositani, il padre di Maria Antonietta, che con la tempra che caratterizzano i calabresi, fatta di amore e dedizione, prosegue in solitaria questa battaglia di verità e giustizia. “Dalle ore 6 fino alle 7, di quel tragico giorno, l’ex marito di mia figlia effettua più chiamate sul suo cellulare, spaventata e colma di  paura Maria Antonietta chiama la polizia per una richiesta di aiuto. La chiamata, con la centrale di polizia di Reggio Calabria,  dura due minuti, bastava che le avessero detto di rifugiarsi in un negozio o in un luogo affollato e mia figlia si poteva salvare”.  Questo non è l’unico errore fatale, Carlo Rositani ci racconta un altro punto grave e oscuro: “una denuncia per percosse e minacce rimasta nel cassetto del maresciallo dei Carabinieri”. Era il 20 dicembre del 2017, dopo tanti anni di episodi di soprusi, botte e un violento ceffone alla figlia Annie, Maria Antonietta trova il coraggio di denunciare il suo compagno alle Forze dell’Ordine; passano le vacanze di Natale e papà Carlo cerca di capire se la denuncia ha messo in moto le indagini e si reca dai Carabinieri . “I Carabinieri mi dissero che nei terminali non risulta nessuna denuncia, ma mentre il maresciallo apre il cassetto per prendere un fazzoletto di carte noto la presenza di un documento ed ecco la denuncia. Dimenticata.” Solamente nel gennaio 2018, dopo l’ennesimo episodio di violenza, Russo viene arrestato e applicata la misura del divieto di avvicinamento alla casa familiare, ma lui non l’ha mai rispettato così il giudice decise di disporre gli arresti domiciliari presso l’abitazione ,della famiglia di Russo, a Ercolano

Dopo l’agguato, Maria Antonietta lotta sul letto di un ospedale- con un corpo interamente fasciato e una mobilità ridotta- e si perde il conto degli innumerevoli interventi in sala operatoria. Più volte salvata dal lavoro dei medici.  Uno Stato che abbandona una sua cittadina e la sua famiglia, soli nel pagare le onerose spese tra medicinali e terapie, e nessun sostegno da parte delle istituzioni. Continui appelli di aiuto, rimasti tutti inascoltati.

Per fortuna la famiglia Rositani non è sola in questa battaglia,  l’UNAVI  (Unione Nazionale Vittime) l’associazione che lotta per i diritti delle vittime dei reati violenti con il suo Presidente, Paola Radaelli, ha deciso con forza di mettere a disposizione la sua struttura per tenere alto quel grido di Giustizia. “La nostra battaglia principale, come UNAVI, è caratterizzata dal sostegno alle vittime dei reati- sempre più dimenticati nei processi- e chiediamo il risarcimento non solo per le persone offese ma anche per i loro familiari. Proprio come nel caso della giovane Rositani, da più di un anno in ospedale e dovrà affrontare innumerevoli interveti di chirurgia e per la riabilitazione.”  Uno sostegno che non è fatto di solo parole, e si passa ai fatti: “La nostra Associazione darà un supporto psicologico, legale e medico non possiamo lasciare Maria Antonietta e papà Carlo in questo calvario, lo Stato ancora una volta dimentica i suoi cittadini” dichiara la presidente Radaelli.

La lotta contro le violenze sulle donne non è un mero slogan con giornate dedicate, convegni e flash mob,  o – ancor peggio- una passerella elettorale o istituzionale; ci auguriamo che lo Stato ritorni a svolgere quella funzione primaria di tutelare e non lasciare soli, al loro destino, le vittime. Teniamo i riflettori accesi, e la guardia alta, Forza Maria Antonietta e papà Carlo!