Foto: un fotogramma da un video di un trapper milanese
Milano: dai non milanesi e dai milanesi (sempre che esistano ancora) è stata considerata per anni una felice e avanzata parentesi italiana, luogo di fortuna, di successo imprenditoriale e lavorativo, la città delle “grandi opportunità”. Quella che era una volta tutto questo, e in certi casi particolari forse lo è ancora oggi, si sta rivelando invece una città sempre più difficile da abitare, pericolosa, avvolta da un terrore silente che i cittadini (compresa chi scrive) di qualsiasi classe sociale stanno percependo con timore sempre maggiore.
Non c’è bisogno di guardare i deprimenti dati di ottobre 2023 de IlSole24ore che confermano Milano prima città in Italia per indice di criminalità con 6.991 reati denunciati ogni 100mila abitanti nel 2022 e denunce in crescita del 3,5% anche nel primo semestre 2023 rispetto allo stesso periodo dello scorso anno. Sono le strade e le testimonianze dei cittadini, degli amici e dei conoscenti a parlare.
Per essere gli spettatori o in numerosi casi le vittime di rapine, furti, violenza, bruttezza non c’è più bisogno di andare a Quarto Oggiaro o nei rinomati quartieri della malavita. È tutto concentrato nel cuore pulsante del centro.
È in Duomo, sui Navigli, in Stazione Centrale, a Loreto, in Piazza della Repubblica, in Corso Como, nei pressi dei tanto decantati attici di Citylife che si riverberano la bruttezza e il terrore di questi tempi, floridi unicamente per tutto ciò che è squallido e basso, veloce e insignificante.
È una fortuna se, nei luoghi precedentemente citati, non si assiste (di sera o di giorno non fa più differenza) ad almeno tre di queste immagini, purtroppo evocative per molti: sciami di baby gang che infestano le strade con il loro incedere greve e volgare, greggi di spacciatori e delinquenti che scambiano tra loro soldi e buste di droga in modo plateale, stranieri e non a cavalcioni su fontane e panchine ad aspettare di trovare un senso alla loro giornata, clochard che rovistano tra i rifiuti in cerca di qualcosa da mangiare e si creano vere e proprie dimore sotto i portici dei grandi palazzi, ladri che in metro scappano con le refurtive, risse di ubriachi e drogati sui Navigli o in Piazza Leonardo da Vinci, vandali che imbrattano muri e bene pubblico, donne che vengono seguite, molestate e nei peggiori casi violentate, in qualsiasi ora del giorno e della notte. Questo è in poche parole e sotto gli occhi di tutti lo scenario della nostra Milano, scenario triste ma terribilmente vero. Non solo immigrazione incontrollata, degrado urbano e delinquenza giovanile in aumento: non bisogna nemmeno sottovalutare l’insediamento orami ben consolidato nel capoluogo lombardo di veri e propri gruppi terroristici latino-americani, le cosiddette pandillas. Queste organizzazioni criminali si sono inserite perfettamente nel tessuto criminale cittadino, soprattutto per quanto riguarda il narcotraffico. Ricordiamo che nell’aprile 2023 un’operazione della Polizia di Stato, coordinata dalla Procura di Milano, aveva portato all’arresto di nove appartenenti alla pandilla “Latin Kings”, fazione “Chicago” (tra le 22 catalogate dal governo dell’Ecuador come “terroriste”). Inoltre, nel 2013, l’operazione “Amor del Rey” aveva portato all’arresto di 75 persone, quasi tutti membri dei Latin Kings Chicago, attivi in varie province lombarde e a Roma. La pandilla era in contatto con i narcos del cartello messicano “Los Zetas” grazie a un intermediario italiano noto negli ambienti del narcotraffico sia in Italia che in Messico. Per trasferire la droga in Italia i narcos utilizzavano cani di grossa taglia che venivano imbottiti di ovuli e poi uccisi. Il problema che si riscontra nel far fronte a questi gruppi terroristici è la comunicazione che questi continuamente intrattengono con i loro Paesi d’origine, il che rende difficoltoso tracciare una strategia volta al completo sradicamento di questo tipo di criminalità nei contesti cittadini italiani.
Resta il fatto che l’inesistenza di sicurezza a Milano non dipenda esclusivamente dall’esiguo numero di forze dell’ordine che possono intervenire nel contrastare questo fenomeno; sì certo, sarebbe doveroso aumentare presidi di agenti (non solo militari magari, consiglio per la giunta Sala) che possano effettivamente presidiare e nel caso agire nelle zone più esposte ma non si può pensare nemmeno di tappezzare ogni singola via di forze dell’ordine. Allora sorge spontaneo domandarsi quale sia la radice profonda di questo fiorire florido di delinquenza e vandalismo, soprattutto minorile. Non è questa la sede giusta per speculazioni filosofiche e sociali più approfondite ma una riflessione va posta. Dove bisogna agire? Bisogna agire esattamente su ciò che (“ahimè” diranno molti) non crea ricchezza materiale ma che richiede altrettanto impegno, che non risponde alle leggi del mercato e infatti non è quasi mai al centro di dibattiti politici: la cultura, l’educazione, la scuola, valori che possono davvero fare la differenza e permettere la nascita di un tessuto sociale solido. Bisogna agire su un pluralismo culturale, che veda dei valori fondamentali e profondi, non necessariamente molti, che vengano però condivisi da tutti, dagli italiani e da chi proviene da fuori, non agire invece, come si sta facendo ora, su un multiculturalismo senza capo né coda, che vuole dividere et imperare.
Secondo chi scrive è inutile e controproducente dare la colpa esclusivamente all’immigrazione incontrollata: non si può impedire ad un essere umano di spostarsi. Si possono sicuramente rendere migliori la sicurezza e il controllo dei flussi migratori ma si deve a mio avviso soprattutto contrastare il realizzarsi di un terreno fertile per lo sviluppo di questi fenomeni di criminalità. Se la cultura, la scuola, le leggi, lo Stato, fossero effettivamente forti, dotati di senso, in grado di abbracciare allo stesso tempo identità e diversità senza sfociare in un multiculturalismo vacuo e insignificante, probabilmente queste vicende sarebbero molto meno presenti. Se al di là del Mare nostrum la cultura popolare vede il suo più alto grado in Tiktok, nella trap, nei Ferragnez, nel borsello di Gucci, in un capolavoro della cultura rinascimentale meraviglioso, la Venere di Botticelli, che assume le sembianze di una influencer, allora forse il problema non è l’immigrazione incontrollata: questa aggrava solamente la povertà nichilistica del nostro sistema che fa acqua da tutte le parti.