Inauguriamo oggi una nuova rubrica, “Musica mia”, tratta dall’omonimo programma su RaiDue condotto da un grande artista come Marco Conidi e dalla brava Lorella Boccia, un viaggio nella musica popolare italiana con la partecipazione di Ambrogio Sparagna. In “Musica mia” ho una rubrica in cui racconto ogni domenica una città italiana attraverso una canzone che la rappresenta e la dipinge con musica e parole. La rubrica, in onda alle 14 e poi in replica su Rai Play, ha la regia di Nicola De Toma, i testi di Giovanni Filippetto e produttore esecutivo Andrea Caterini.
La prima puntata è dedicata a Roma, con la celeberrima “Tanto pe’ cantà” di Ettore Petrolini e Alberto Simeoni.
Appuntamento domenica prossima alle ore 14 su RaiDue per la seconda città.
Sanremo 1970. L’attore Nino Manfredi è ospite del Festival e introduce così la sua performance: “Canterò una canzone di uno che le sapeva scrivere, le sapeva cantare e sapeva recitare pure meglio di me. No, non è falsa modestia. È Petrolini”.
E dopo gli applausi della sala dice: “Attacca Maurì, che se ne annamo”.
Ecco lo spirito del romano: scaltro, ironico, strafottente, pronto alla battuta cinica.
La canzone l’aveva scritta infatti un romano. E che romano. Il grande cabarettista e drammaturgo, l’attore futurista Ettore Petrolini nel 1932.
A sorpresa Nino Manfredi la ripropone a Sanremo tanti anni dopo e diventa un’enorme successo.
Un aneddoto curioso riguarda la melodia della canzone, che sembra essere ispirata a motivi popolari romani già esistenti. E alcuni studiosi hanno trovato somiglianze con antiche nenie popolari cantate nei vicoli di Roma all’inizio del ‘900.
“Tanto pe’ cantà” la cantavano Claudio Villa, Gabriella Ferri e anche Gigi Proietti. Un giorno, un giornalista chiese a Claudio Villa perché avesse scelto di interpretare “Tanto pe’ cantà” in modo così lirico. Villa rispose: “Perché pure il popolo merita la sua opera!”
Un aneddoto curioso riguarda Renato Rascel, che una sera, in un locale romano, si mise a cantare “Tanto pe’ cantà” tra il pubblico, senza microfono e senza orchestra. Si dice che fosse talmente coinvolgente che i clienti del locale si misero tutti a battere le mani a ritmo, creando una versione improvvisata della canzone solo con battiti e voci. Un amico presente quella sera raccontò che alla fine della performance, Rascel si inchinò e disse ridendo: “Mo’ avete capito perché se canta… tanto pe’ cantà!”
“Tanto pe’ cantà” è molto più di una semplice canzone: è un pezzo di storia della cultura popolare romana, un inno alla leggerezza e all’allegria con un pizzico di malinconia.